Alzi la mano chi, viaggiando all’estero, non si è mai imbattuto in un asciugamani ad aria calda Magnum firmato Fumagalli. Magari nel bagno di un aeroporto, di un ristorante, di un hotel o di una fiera.

Il marchio dell’azienda di Trezzano sul Naviglio accompagna gli italiani e i milanesi quando viaggiano nel mondo. “È incredibile, su di noi ci sono blog e pagine su Facebook fatte da fan che neanche sappiamo chi siano. E il nome Fumagalli è davvero trasversale: ci conoscono gli operai, i portinai, i manager e i politici. Questo perché siamo un po’ dappertutto: dall’aeroporto di Los Angeles al bagno del cinema di Milano, passando per il ristorante di Sofia. E pensare che noi vendiamo business to business: cioè non direttamente al consumatore”.



Pierroberto Fumagalli è il vice-presidente esecutivo della Fumagalli Componenti. L’impresa fu fondata da suo padre nel 1962, quando lui aveva due anni. È cresciuta nel tempo e negli ultimi 15 anni ha registrato un vero e proprio boom. In barba alla crisi. Arrivando a “vestire” i bagni di 30 paesi nel mondo.

A cosa è dovuta questa clamorosa espansione? “Abbiamo curato in modo maniacale il posizionamento sul mercato. Facendo di un prodotto, il Magnum, un vero e proprio brand. E poi c’è l’ottimo lavoro dei soggetti terzi che ci aiutano a internazionalizzare. Mi viene in mente Co-Export della Compagnia delle Opere che mi ha aiutato in diverse missioni”.



 

Fumagalli ha però anche il vantaggio di avere un prodotto che si autoreferenzia con la sua presenza in ogni dove. “Dobbiamo ringraziare anche la vetrina Italia: per farci conoscere all’estero fondamentale è stato avere visibilità nei posti frequentati da tutti, stranieri compresi”.

 

Ecco perché Fumagalli è nelle fiere, negli aeroporti, negli hotel. “Questi luoghi sono mostre permanenti del made in Italy. Purtroppo però noi italiani abbiamo a volte il difetto di non promuovere i nostri prodotti nemmeno qui da noi. Non sappiamo darci una mano a vicenda, fare squadra”.



 

Prima di conquistare il mercato estero, Fumagalli ha dunque dovuto sgomitare per farsi largo in Italia. “Con grinta e volontà. Stando sempre sul pezzo, girando con il catalogo notte e giorno, presidiando e controllando il mercato di continuo. Perché fare l’imprenditore non è un privilegio, ma una mission. Chi non lo capisce è destinato a fare una brutta fine”.

 

Un’analisi più che mai attuale, in periodi di forte concorrenza e crisi della domanda come questo. Fumagalli lo sa bene. Cinesi, vietnamiti e via dicendo hanno abbassato di molto il prezzo finale del prodotto, sfruttando i costi quasi nulli della manodopera. “L’unico modo per restare vivi è rimboccarsi le maniche, avere idee, fare ricerca e sviluppo. E soprattutto non vendere i propri prodotti tanto al chilo, come fossero pane. Io lo dico sempre in azienda: noi non vendiamo asciugamani o rubinetti, ma vendiamo un servizio, un oggetto d’arredo e soprattutto un’emozione”.

Così per battere la concorrenza “sleale” dei paesi del sud-est asiatico diventa fondamentale presentare un prodotto che sia la sintesi di un mix di qualità e immagine. “Se ci mettiamo a fare guerra ai cinesi sui prezzi siamo condannati a morire come sistema d’imprese e più in generale come paese. Si è competitivi piuttosto quando si offre al cliente un design originale del prodotto e lo si segue nella fase pre-vendita e post-vendita. La manutenzione poi è cruciale: Fumagalli in 24 ore ti ritira, aggiusta e riporta il suo prodotto ovunque sei nel mondo. Nessuna azienda cinese lo fa e il cliente di ogni nazione questo lo sa”.

 

Eppure molti imprenditori delocalizzano per abbattere i costi. Non dando importanza ai risvolti sociali del loro gesto. “Se io spostassi l’azienda all’estero potrei girare in elicottero, altro che auto. Mi converrebbe e lo so. Ma si pone un problema etico. Credo che un imprenditore abbia una responsabilità sociale verso il proprio paese e i propri connazionali. Per questo rimango qui”.

 

Fumagalli non lascia Milano, ma ciò non significa che il nostro paese non debba migliorare. “Non c’è una ricetta o una politica per risolvere i problemi delle imprese. Bisogna solo lavorare, lavorare e lavorare. Ma qui in Italia riusciamo a darci da fare sul serio solo quando siamo nei guai. Ecco perché sono convinto che la crisi sia una manna dal cielo per noi. Magari ci stimola a far tornare a funzionare i nostri cervelli”.

 

Rimboccarsi le maniche è davvero l’unica soluzione possibile? “Sì. Rimboccarsi le maniche e avere idee. Perché spesso l’imprenditore italiano lascia che il prodotto sia maturo, vecchio e non cerca soluzioni nuove. E così incontra difficoltà e poi si lamenta con lo Stato per le tasse troppo alte e il costo del lavoro. Non che non sia vero, ma dimezzare le imposte non è possibile e non è che un punto percentuale in meno di tassazione cambi la vita. Piuttosto si dia da fare per rinnovarsi”.

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