Si chiama Risorse per la Famiglia ed è un’associazione che si occupa di assistenza agli anziani milanesi a 360 gradi. Nata nel 1999, è coordinata da Tina Tommasini, e tra i suoi compiti c’è quello di aiutare le famiglie delle persone non autosufficienti a individuare la badante più adatta alle loro necessità. Come osserva Tommasini, intervistata da Ilsussidiario.net, “il principale problema degli anziani è quello della solitudine in cui si trovano a vivere, soprattutto in una città come Milano, in seguito al dissolvimento della famiglia tradizionale che un tempo invece si prendeva cura di loro”. La coordinatrice dell’associazione aggiunge che “come richiamato più volte da Giovanni Paolo II, l’importante in un mestiere cruciale come quello della badante è recuperare il significato del lavoro: in quanto dimensione della persona, unica e irripetibile, non può essere mai standardizzato”.
Quali sono le principali difficoltà affrontate dalle famiglie con anziani in una città come Milano?
La principale difficoltà è legata al fatto che oggi la famiglia patriarcale non esiste più, in quanto negli anni ha subito una profonda trasformazione soprattutto a Milano. Io ho realizzato una ricerca, dal titolo “Famiglie e badanti nella città di Milano”, intervistando 350 famiglie e 350 badanti. Quello che è emerso è che, soprattutto in una città molto industrializzata come Milano, i problemi nascono dalla dimensione mononucleare della famiglia. I genitori quindi man mano che diventano anziani restano sempre più soli e finché riescono a essere autonomi continuano a vivere in modo dignitoso, compatibilmente con le loro condizioni economiche. Quando però uno dei due viene a mancare o si ammala, la qualità della vita si abbassa notevolmente anche per l’altro coniuge, che spesso vive fino agli 80 anni e oltre e difficilmente riesce a farsi carico della cura della casa. La persona anziana rimasta sola ha quindi bisogno di un supporto, che può riguardare anche attività quotidiane come fare il bagno o prepararsi da mangiare: è in questi casi quindi che diventa necessaria la badante.
Come vi muovete quando una famiglia si rivolge alla vostra associazione?
Quando una persona ci chiede di trovargli una badante per i suoi genitori, in primo luogo organizziamo un colloquio nel corso del quale chiediamo di conoscere esattamente l’ambiente, le abitudini, le caratteristiche, il temperamento e i problemi di salute dell’anziano. Domandiamo inoltre se la famiglia ha delle preferenze etniche, perché le qualità delle badanti variano in parte anche in base alla nazionalità. A quel punto compiamo l’abbinamento tra la donna e la coppia di anziani e al termine del periodo di prova, che dura tra gli otto e i 20 giorni, procediamo con l’assunzione.
Qual è in media il livello d’istruzione di una badante straniera?
Molte di loro sono laureate in Medicina, soprattutto quelle slave o latinoamericane, e preferiscono venire a fare le badanti in Italia piuttosto che le dottoresse nel loro Paese. Ma è una cosa che non deve stupire: se lavora anche il sabato e la domenica, una badante guadagna tra i 1.300 e i 1.400 euro netti al mese, cui si aggiungono vitto e alloggio gratuiti in quanto vivono nella casa della famiglia che accudiscono. Tra i ragazzi italiani, sono davvero pochi i neo-laureati in Italia con lo stesso stipendio.
Risorse per la Famiglia è anche un esempio di sussidiarietà. Qual è la differenza tra il vostro servizio e quello offerto dal welfare pubblico?
Noi mettiamo a disposizione qualcosa che lo Stato non garantisce, ma soprattutto a essere diverso è il nostro metodo. In passato ho lavorato per l’Ospedale Maggiore, che è un ente pubblico, dove mi occupavo di adolescenti che avevano tentato il suicidio. Mi rendevo conto che se volevo cercare di capire i loro problemi, invece di fare un turno di otto ore dovevo farlo di dodici. Lavorare pensando solo a sbrigare i problemi il più in fretta possibile è del resto contrario alla natura della persona e innanzitutto a me. Nessuno del resto mi ha mai imposto di fare gli straordinari, sono io che sono esigente nei confronti di me stessa. Quando nella vita si sceglie un lavoro, qualunque esso sia, quello che conta è farlo bene. E perché questo avvenga occorre ricordare che l’uomo non è una macchina, ma in quanto persona ha un’identità unica e irripetibile. Ecco perché non posso trasformare il lavoro, che è una delle dimensioni della persona, in semplice routine.
Può fare un esempio a partire dalla sua esperienza professionale?
Il giorno della prima comunione di mio figlio sono stata costretta a lasciarlo a metà cerimonia, perché mi avevano chiamata dall’ospedale per un tentativo di suicidio. Avrei potuto rispondere che quel giorno non ero di turno, invece ho ritenuto che la vita di quella persona fosse più importante di quello che avevo programmato di fare. Poi ovviamente ho chiesto scusa a mio figlio e gli ho spiegato qual era la situazione, e lui non l’ha vissuta in modo negativo ma anzi l’ha accettata. E’ così che la nostra associazione vive il lavoro: non è possibile curare un anziano dimenticando la propria capacità di interagire con la persona in quanto essere umano. La vera natura del lavoro è quella di essere una missione. E lo stesso vale anche per i mestieri manuali, come quello del falegname, che deve rendere morbido il legno che pialla curando tutti i particolari. Ritengo quindi che vada rivalutato il significato del lavoro cui spesso ha richiamato Papa Giovanni Paolo II. L’uomo non può diventare un puro strumento, perché in quel caso non è più uomo ma è altro.
Quali criteri utilizza per selezionare le donne che desiderano lavorare come badanti?
Leggo il loro curriculum vitae, verifico quanto mi dicono durante il colloquio e le metto alla prova. Di solito non affidiamo mai un lavoro a tempo indeterminato a una candidata che si presenta per la prima volta, ma incominciamo con una sostituzione ferie verificando quindi come sono andate le cose. Come associazione abbiamo inoltre un metodo di lavoro, in base al quale le badanti per quattro mesi all’anno partecipano a un corso di aggiornamento nella nostra sede, nel corso del quale forniamo loro informazioni sull’igiene personale, sulla cucina e su come si sposta un malato in carrozzina. Inoltre, insieme alla famiglia ci occupiamo personalmente della verifica dei risultati raggiunti durante il lavoro, per essere certi che il servizio offerto risponda alle esigenze della persona umana che non sono standardizzabili.
(Pietro Vernizzi)