Il settore pubblicitario è senza dubbio uno di quelli che ha risentito di più della crisi economica, ma per l’impresa milanese 56 Factory più che un momento negativo è stata un’occasione di trasformazione. La società, di proprietà dei fratelli Francesco e Vieri Nencini, in questi giorni sta lavorando a Roma per girare il nuovo spot con Elisabetta Canalis. Ma ha realizzato anche le campagne promozionali di grandi marche italiane e straniere come Barilla, Wind, Volkswagen, Swatch e Ferrero. Fondata nel 1994, è riuscita ad attraversare gli ultimi anni senza risentire della bufera che ha «travolto» molte altre imprese pubblicitarie.
Nencini, ci spieghi di che cosa si occupa la sua impresa…
Produciamo e vendiamo immagini per la comunicazione, dagli spot pubblicitari alla fotografia di ritratto e ai filmati. È nata come conseguenza del fatto che io e mio fratello svolgevamo professioni complementari. Io faccio il regista e il fotografo, lui il produttore: abbiamo quindi deciso di metterci insieme. Le nostre pubblicità compaiono sui cartelloni pubblicitari, in televisione, ma anche sui nuovi media come Internet.
La realizzazione delle reclame è interamente in mano vostra o lavorate con dei partner?
Quando lavoriamo con le grandi imprese di solito ci occupiamo solo della produzione dei servizi fotografici e della regia, mentre per le altre fasi del lavoro come la post-produzione interagiamo con altri professionisti. Alle piccole e medie imprese invece offriamo un servizio globale a 360 gradi, dove è compresa la creatività, la produzione e la gestione degli spazi. In questo secondo caso quindi giriamo le immagini, le montiamo, realizziamo l’audio e confezioniamo il tutto.
Come state vivendo la crisi del settore pubblicitario?
Con intelligenza, cercando di adattarci e di creare opportunità all’interno della nuova realtà, condizionata soprattutto dalla riduzione del budget. Anche se io quello che è avvenuto negli ultimi tre anni preferisco non chiamarlo crisi, perché non è solo una crisi. La mia azienda la sta vivendo innanzitutto come una trasformazione, come un’evoluzione dovuta a vari fattori tra cui le condizioni economiche contingenti e le nuove realtà. E da questo punto di vista ci sono anche diversi fattori positivi.
Quali per esempio?
Il fatto che la televisione non è più composta da sette canali ma da 700, e che se l’editoria è sicuramente in crisi, Internet è sempre più una grande realtà. Certo, il web per il momento non raccoglie gli stessi investimenti di stampa e tv, ma si tratta comunque di somme in crescita. Per non parlare della pubblicità direttamente sul cellulare. Insomma c’è un grande frazionamento nel settore, si tratta di qualcosa di stimolante e lo viviamo con grande interesse. E dopo un momento di scompiglio generale come tutti, ne cominciamo a vedere gli effetti positivi.
In che modo queste novità stanno influendo su di lei da un punto di vista umano?
Positivamente, nel senso che ci offrono la possibilità di trasformarci a seconda del progetto e della sua destinazione d’uso. Perché effettivamente Internet ha un linguaggio che non è quello della televisione, e lo stesso vale per il telefonino, dove comunque si cominciano a veicolare una serie di immagini. Quindi queste trasformazioni stanno influendo positivamente anche sull’organizzazione della mia impresa, suscitandoci una grande passione ed entusiasmo.
Ma quando è stato profonda la trasformazione per il settore pubblicitario?
Stiamo parlando di un sistema che negli ultimi tre anni ha subito una trasformazione completa e continua. L’aspetto più interessante però è che nel settore convivono realtà che negli ultimi 15 anni sono rimaste uguali a se stesse, mantenendo la stessa organizzazione, e aspetti che risultano invece completamente nuovi.
In che cosa consiste la forza della vostra azienda?
La forza della nostra azienda consiste nel fatto di essere camaleontica, di adattarsi di continuo a seconda delle esigenze del cliente e delle opportunità di investimento che ha a disposizione. Questa la logica che ci muove, e che ci ha permesso di non vivere in modo negativo i cambiamenti.
Spesso le pubblicità veicolano anche dei messaggi, basti pensare a quelle che comunicano una certa idea del corpo della donna. Come vive questa responsabilità?
Questo è un rischio insito nella cultura stessa della pubblicità, anche se è più forte soprattutto per chi vuole reclamizzare un certo tipo di prodotti. Noi però facciamo un tipo di pubblicità diverso, che parla di più alle persone comuni, e che cerca di entrare nelle case delle famiglie italiane in punta di piedi. Lo sfruttamento del corpo della donna invece è una tendenza che purtroppo non affligge solo la pubblicità, ma anche la società che ci circonda. La mia azienda cerca invece di trovare dei sistemi più consoni, più civili e più educati per vendere le cose. Con un linguaggio in grado di rimandare al prodotto, al contenuto, alla logica, all’intelligenza del messaggio, e non a facili giochi di seduzione. Anche se è un dato di fatto che l’obiettivo delle pubblicità alla fine è reclamizzare i prodotti, e non lanciare messaggi. A meno ovviamente che non si tratti di campagne sociali.
In che modo i grandi marchi scelgono una pubblicità piuttosto che un’altra?
Fanno delle gare, ci chiamano una dozzina di registi e scelgono il tipo di film più simile a quello che vogliono realizzare. Ogni volta siamo messi regolarmente in discussione, non è mai un appalto diretto. La selezione passa sempre da gare cui partecipano case di produzione come la nostra e personaggi di vario tipo come per esempio registi e fotografi.
La concorrenza è molto dura?
Sì, ma lo è sempre stata e questo è stimolante. Guardo sempre con interesse ai concorrenti, perché sono un’opportunità per crescere e per trovare modi nuovi per emergere.
(Pietro Vernizzi)