«Questo episodio fa capire che tra Milano e Roma negli ultimi mesi stiamo assistendo a una sorta di “work in progress” della violenza di strada causata da bande giovanili che sono fuori controllo, ma che evidentemente non sono organizzate come la grande criminalità, che è certamente violenta e terribile, ma nello stesso tempo, proprio perché organizzata, non ha interesse a provocare sparatorie in strada che vanno inevitabilmente a creare una maggiore pressione da parte delle forze dell’ordine, della magistratura e anche dell’opinione pubblica». Andrea Pamparana, vicedirettore del Tg5, raggiunto da IlSussidiario.net, commenta la morte avvenuta ieri di un pregiudicato cileno di 28 anni raggiunto da un colpo di pistola esploso da un agente della polizia locale di Milano, in via Orbetello. La vettura della polizia è giunta in via Crescenzago dove era stata segnalata una rissa, ma, giunti sul posto, gli agenti hanno notato un’auto fuggire contromano. È così iniziato un inseguimento conclusosi nei pressi del parco pubblico Lambro, dove uno dei due fuggiaschi avrebbe puntato una pistola contro il vigile che lo stava inseguendo. L’agente ha allora sparato un colpo che però ha raggiunto e ucciso il complice del ragazzo armato, che invece è riuscito a scappare. Ancora non si conoscono i dettagli delle indagini attualmente in corso, ma già nelle prossime ore lo scenario potrà certamente essere più chiaro.
Ci parlava della differenza tra questi episodi e quelli che invece riguardano la criminalità organizzata.
I grandi business della droga e tutto quello che conosciamo riguardo la ‘ndrangheta, la camorra e la mafia siciliana sono ovviamente una cosa diversa da questo tipo di microcriminalità, che è subdola e nello stesso tempo molto pericolosa. Bisogna sempre tener presente che in situazioni come queste, di inseguimenti o di risse che possono verificarsi al di fuori di un locale o in zone dove ci sono concentrazioni soprattutto di giovani di varie comunità che vengono a scontrarsi tra di loro, può passare il cittadino qualsiasi, inerme, che rimane colpito, ferito e qualche volta ucciso.
Secondo lei, questo episodio riporta a galla il solito dibattito riguardo l’integrazione di comunità straniere a Milano?
Ci sono tante persone che appartengono a nazionalità diverse da quella italiana che si sono integrate e che lavorano instancabilmente. Se in un ristorante ordiniamo una pizza sappiamo che al 90% è stata fatta da un bravo pizzaiolo egiziano o comunque non italiano, e spesso affidiamo i nostri figli o i nostri genitori alle cure di persone di un’altra nazionalità, che quotidianamente aiutano le nostre famiglie a vivere e a sopravvivere. Inevitabilmente, però, per un semplice fatto di statistiche, ci sono anche coloro che non solo non si integrano, ma che non vogliono che questo avvenga, ma ricordiamoci sempre che per un ragazzo di una qualsiasi nazionalità che delinque, ce ne sono altri dieci che non lo fanno.
Però forse sono proprio episodi come questo che remano contro una piena integrazione.
Certamente questi fenomeni esistono, sono drammatici, e colpiscono molto l’opinione pubblica. Tutti i cittadini si sentono meno sicuri, compresi coloro che appartengono alla stessa comunità dei soggetti che delinquono, ma questo si ripercuote inevitabilmente sulla loro possibilità di integrazione totale nella nostra cultura e nel nostro mondo.
Come giudica invece il fatto che il vigile abbia sparato e ucciso il complice del ragazzo armato?
È facile giudicare quando non ci si trova nelle situazioni in cui si trovano i nostri “angeli custodi”, quindi poliziotti, carabinieri, finanzieri e vigili urbani. Fa parte del normale gioco della vita discutere o criticare la scelta di un vigile che ci multa o che ci fa spostare la macchina in doppia fila, ma mettiamoci nei panni di qualcuno che si vede puntare contro una pistola. Normalmente in situazioni come queste si creano due “partiti”: uno di coloro che si dicono soddisfatti e che bisognerebbe agire così anche più spesso, e un altro di coloro che invece restano più basiti, spaventati, e secondo cui forse c’è un eccesso di interventismo.
Chi ha ragione secondo lei?
Come sempre accade in ogni cosa, credo che la via migliore si trovi nel mezzo. L’inchiesta stabilirà certamente tutti i dettagli che ancora non appaiono chiarissimi, ma credo che dovremmo sempre metterci nei panni di chi vive in prima persona situazioni come queste. In questo momento sto commentando l’accaduto perché una persona è rimasta uccisa, ma quante volte ogni giorno noi giornalisti veniamo a sapere di tantissimi episodi che non vanno a finire neanche sulle pagine locali? Eppure continua questo stillicidio quotidiano di micro violenza, legata quindi a furti, rapine e sopraffazioni minori rispetto agli eventi di più grande portata della criminalità organizzata, che va però poi a riflettersi sul tessuto sociale in un modo altrettanto drammatico.
In che senso?
È più facile che l’opinione pubblica rimanga turbata e impaurita da episodi come questo che non dal sapere che la ‘ndrangheta controlla gran parte del traffico di rifiuti o di movimentazione terra nell’hinterland milanese. Ma resta il fatto che, anche se sembra che questi episodi non ci tocchino immediatamente, in realtà ci riguardano eccome, e non possiamo non interrogarci sul disagio reale che hanno queste comunità, soprattutto di giovani, che non riescono a integrarsi e a trovare lavoro. Credo quindi che ancora una volta ci troviamo di fronte a una società che non si ferma a riflettere, e che non facendolo vive di emozioni, giudizi e pregiudizi falsati dalla storia.
(Claudio Perlini)