La morte improvvisa di Lucio Dalla lacera il mondo della musica, ma non solo. Anche il capo dello Stato ha sentito il dovere di ricordare il musicista scomparso questa mattina in Svizzera, dove si trovava per un concerto da tenere questa sera a Montreux. Mario Luzzato Fegiz, critico musicale storico del Corriere della Sera, è una delle persone che soffrono di più per questa perdita inaspettata. Sul sito del suo giornale appare un audio di una telefonata che la sua redazione gli ha fatto per sapere il suo commento sulla morte di Dalla: Fegiz non trattiene le lacrime mentre risponde al telefono. IlSussidiario.net ha voluto chiedere ugualmente al giornalista, pur nel rispetto del suo dolore, un ricordo, che gentilmente ci è stato concesso anche se come ha chiesto lui stesso si è trattato di un breve ricordo. Breve, ma toccante. Fegiz per tutto il tempo della telefonata con noi parla al presente di Lucio Dalla: è significativo, il segno che il lutto non è stato ancora elaborato, che l’amico scomparso è sentito ancora profondamente in mezzo a noi.
Fegiz, colpisce che Lucio Dalla, appartenente alla generazione storica dei cantautori italiani, sia l’unico che abbia portato avanti collaborazioni con giovani provenienti dai talent, ad esempio Pierdavide Carone o Marco Mengoni. Come giudica questo?
Perché lui è sempre stato aperto alle sperimentazioni con i giovani musicisti. Ricordo anche sperimentazioni audaci, coraggiose o anche quella con Samuele Bersani. A Dalla piace fare il talent scout, piace aiutare i giovani, quindi in questo senso lui sapeva riconoscere il talento soprattutto maschile. Infatti ha provato anche a lavorare e cantare con delle donne, ma la cosa aveva funzionato meno. Penso alla collaborazione ad esempio con Iskra Menarini.
Era una persona a cui piaceva mettersi in gioco, giusto?
Era sicuramente un gran giocattolone: qualunque situazione di sfida lo stimolava, quindi chiaramente anche prendere sotto tutela un giovane.
Collaborazioni che secondo lei funzionavano?
C’era in realtà un problema, e il problema era che la sua alla fine dei conti era una presenza invasiva oltre che utile.
Perché?
Perché il suo talento di musicista e la sua grande personalità finivano per schiacciare gli altri. Ci avevano provato anche Ron e gli Stadio a lavorare insieme a lui, ma la personalità di Dalla era davvero il suo punto forte.
Cosa che invece con il suo amico De Gregori non succedeva.
Chiaramente, quello con De Gregori era un discorso molto più paritetico. Però anche intermittente: cominciò a fine anni 70 con una prima tranche, poi si interruppe per trent’anni e poi ci fu questa seconda recente tranche un paio di anni fa.
Lei ha detto in altre situazioni che era più musicista che cantautore.
Sicuramente: lui quando andava a letto si metteva a fare poof paf bam bam, insomma i vocalizzi. Faceva della foné più che della parola però anche con la parola si è trovato a fare capolavori. Penso a brani come Come è profondo il mare, Caruso e tanti altri.
Si ricorda quando vi siete conosciuti per la prima volta?
Il primo incontro credo al programma Per voi giovani a fine anni 60, il periodo in cui lavorava con Roberto Roversi come autore dei suoi testi.
Ha anche detto che vi era capitato di parlare della morte con lui.
E lo faceva sempre con grande serenità . Aveva una fede profondo che lo avrà accompagnato fino alla fine. Noi diciamo si torna alla casa del Padre lui più scherzosamente diceva che la morte non è altro che l’inizio del secondo tempo.