“Un cielo così cupo non può schiarire senza una tempesta”. La citazione shakespeariana posta da Capossela all’inizio del suo ultimo splendido lavoro “Marinai, profeti e balene” sembra rivelare quello che il cantautore aveva in mente per dare una degna rappresentazione dal vivo al suo doppio album. Che si completa appunto con la dimensione teatrale, con la rappresentazione scenica, la sola in grado di aggiungere parole recitate, ossa, croci, leviatani, marinai e profeti alle note. La sensazione che si ha fin dalle prime battute del concerto è proprio che il disco non fosse abbastanza, che la perfetta resa si potesse ottenere soltanto sul palcoscenico di un teatro, con scenografie, brani recitati, danze e luci. Capossela è il capitano di un’arca tutta speciale, fatta per i dimenticati da Noè, per gli ultimi che saranno i primi, per tutti coloro che sbagliano mostrando così la loro umanità più vera, e ci conduce sulle onde pericolose di un oceano popolato da balene, tempeste, rari bagliori che rompono l’oscurità, pericoli e attrattive, rumori assordanti e cori drammatici che raramente si sciolgono in armonie leggere. Il concept album viene riprodotto dal vivo quasi interamente in una suggestiva versione che sottolinea i temi cari al cantautore irpino: il viaggio alla ricerca di sé stessi, la sfida, il pericolo da superare in nome della conoscenza, il coraggio, la nostalgia che alla fine ci riconduce più saggi al luogo da cui siamo partiti.

Nella cornice del Teatro Smeraldo di Milano, l’avventura ha inizio sulle note cupe e i cori inquietanti de “Il grande leviatano”, mentre il palco è occupato dallo scheletro immenso di una balena che racchiude i sette musicisti. Vinicio alterna all’esecuzione dei brani la narrazione affascinante di un viaggio che è suo, ma che diventa nostro. Rumori, luci, oscurità, strumenti classici e stravaganti, attori con i travestimenti più sorprendenti regalano una dimensione reale a “L’oceano oilalà”, “Lord Jim” (“ora hai fatto il salto e il pozzo non ha fondo, hai perso l’innocenza, sei uno di noi, Lord Jim, ora hai la conoscenza, sei uno di noi”), una inquietante “Billy Bud” con il condannato a morte in catene sul palco che attende l’impiccagione, “La bianchezza della balena”, “I fuochi fatui”.

Anche Vinicio si cambia cappelli e giacche in continuazione; per interpretare ‘Polpo d’amor’ indossa un mantello rosso dotato di tentacoli. Il suo messaggio non può essere frainteso: “E’ meglio spegnere la televisione e accendere l’acquario”. Ed è proprio con questo originale acquario, con questo lungo viaggio per mare fatto di musica e di teatro che Capossela incanta il suo pubblico. Le scenografie studiate con attenzione, le coriste che si travestono per interpretare parti diverse, l’ombra del ciclope durante ‘Vino vinicolo’, danze tribali, tamburi, luci che spezzano il buio e un oceano di note ci conducono in un mondo fantastico dove tutto può succedere.

La tensione si scioglie sulle note avvolgenti di ‘Calipso’ e de ‘Le Pleiadi’, ‘dove tutto si muove ma niente si muove davvero’. Il sipario si chiude sulla prima parte dello show dedicata a ‘Marinai, profeti e balene’, per riaprirsi immediatamente sulle note de ‘L’uomo vivo’, grandiosa rappresentazione del famoso brano tratto dall’album ‘Ovunque proteggi’, un’esplosione di colori e di gioia. Il cielo cupo si è finalmente schiarito dopo la tempesta. Capossela veste i panni di Sante Nicola e recita un lungo e divertente monologo a tratti surreale. Poi si siede al pianoforte e intona ‘Sante Nicola’, tratta dall’album ‘Da solo’: “La pioggia si è fatta neve, Sante Nicola ci ha portato in dono le parole per parlarci e scaldarci il cuore, che povertà non sapersi parlare, e vedersi passare vicini e muti, chiusi nel rancore”. Bellissima. Le parole che scaldano l’anima sono i veri regali, non quelli costosi imposti da una società consumistica che ci ha resi avidi e senza cuore. Ecco perché il puro Sante Nicola lascia il posto a Babbo Natale. Si riaccende la tensione con il ritmo forsennato di ‘Al veglione’, pezzo ripreso dall’album ‘Il ballo di S. Vito’  del ’96.

Sembra proprio la fine, dopo due ore e mezza di spettacolo, e Vinicio invece torna sul palco richiamato dagli applausi incessanti del pubblico, portandosi una bottiglia di birra: “Bevo solo quando sto lavorando, quindi ne approfitto”. Si siede al pianoforte per uno dei pezzi più intensi dell’intera serata, ‘Resto qua’, lenta e struggente, dedicata proprio al suo prediletto teatro Smeraldo, uno dei simboli di Milano, che rischia di chiudere. La voce di Vinicio gioca col pianoforte inventando dissonanze affascinanti come solo lui sa fare:  “Resto qua, se non hai dato tutto non hai dato ancor”. E Vinicio come sempre ha dato tutto al suo pubblico, non si è risparmiato, si sente che vive per la sua musica e che stare sul palco è la sua stessa vita.

E’ lui – cantante estroso, musicista di spessore soprattutto al pianoforte, e attore capace di incantare – l’unica stella di questo concerto memorabile, che ancora ci regala una magica ‘All’una e trentacinque circa’, perla jazz tratta dall’omonimo album d’esordio del lontano ’90.  Il cerchio si chiude con ‘Le sirene’, ultimo brano di ‘Marinai, profeti e sirene’. E’ la fine del viaggio. Vinicio continuerebbe all’infinito, la sua passione è autentica, e il pubblico lo starebbe ad ascoltare per altre due ore, ma è passata da un pezzo la mezzanotte. ‘Forse sarebbe ora di tornarsene a casa’. Anche se Vinicio non sembra né stanco né perduto.

(Clara Visconti)