Come meditazione in attesa del Santo Natale del Signore, nel 1951 un prete polacco trentunenne diede alle stampe un articolo sul settimanale cracoviense Tygodnik Powszechny (n. 51/52), dal titolo Il Mistero e l’uomo (Tajemnica i człowiek). Il giovane sacerdote si chiamava Karol Wojtyła e quel suo scritto è ora tradotto per la prima volta in lingua italiana e pubblicato nel recente volume a cura di M. Serretti, La persona. Il volto della trascendenza, Cantagalli, Siena 2023, che raccoglie, tra l’altro, saggi di alcuni autori sull’essere persona dell’uomo e sul pensiero di H. de Lubac, E. Stein, V. Ivanov, N. Berdjaev, S.L. Frank, V. Losskij, R. Guardini, K. Wojtyła e R. Spaemann.

Nel suo articolo Wojtyła medita intensamente sul Fatto e sull’aspetto “aderente alla vita” del Mistero dell’Incarnazione, che raggiunge tutti, nessuno escluso: “A partire dall’intimo contenuto del Mistero dell’Incarnazione, un prolungamento conduce in un certo qual modo ad ogni singolo uomo. Secondo il principio di un tale prolungamento il Mistero del Dio-Uomo diviene una cosa che riguarda tutti gli uomini, nel senso che ogni uomo che crede in questo Mistero e ne viene toccato, deve incontrare in esso direttamente l’‘Uomo’, quell’uomo concreto, storico”. Queste proposizioni precorrono con straordinaria consonanza e lungimiranza l’insegnamento della Costituzione pastorale Gaudium et spes del Vaticano II (1965), alla quale K. Wojtyła e H. de Lubac avrebbero dato peraltro un contributo decisivo: “In realtà solo nel Mistero del Logos incarnato è veramente rischiarato il mistero dell’uomo. […] Poiché in Lui la natura umana è stata assunta, non annientata, per ciò stesso anche in noi è stata elevata ad una sublime dignità. Egli stesso, infatti, il Figlio di Dio, mediante la Sua Incarnazione si è unito in un certo modo ad ogni uomo” (GS 22).

Prosegue, dunque, il giovane Wojtyła: “E questo Uomo concreto, storico, che è Dio, crea già solo con ciò nell’anima del credente una certa prospettiva della prossimità e dell’accessibilità di Dio – includendo al contempo un ritorno all’umanità stessa di questo credente. Si comprende qui un ‘ideale’, un ‘modello’, l’Uomo perfetto, che deve essere ovviamente l’Uomo-Dio. Così la reazione del credente procede in un certo senso su due binari. In primo luogo, sulla linea di quell’‘uscita verso Dio’ essenziale in ogni riferimento religioso (qui Lo trova molto vicino); in secondo luogo, invece, sulla linea di un ritorno dentro di sé (io al cospetto di Lui – chi al cospetto di Chi?), e questa seconda reazione qui indietreggia, abbacinata dal Fatto stesso di una tale Umanità. È un’esperienza religiosa assai specifica, l’esperienza dell’Uomo che è Dio. La disposizione dei credenti rispetto alla Divinità di Cristo non può essere compresa senza aver colto ed essersi addentrati in questa esperienza. Qui questo fondamentale ritiro nella propria umanità riceve una nuova connotazione: difficile non percepire una certa equiparazione (l’Uomo – l’uomo), ma al tempo stesso si destano vivacemente e si impongono i valori più profondi e personali raccolti nell’arco della vita umana; essi si legano tutti a Lui. Egli, dunque, la Sua vita umana del tutto consueta e semplice, costituisce un’attrattiva pienamente umana. Non è sufficiente qui ritirarsi con la propria esperienza nell’incommensurabilità del proprio ‘Io’ (chi al cospetto di Chi), bisogna invece osare raggiungere, nell’ambito dell’esperienza religiosa del Mistero dell’Uomo-Dio, una comprensione nuova di tutte le questioni pienamente umane, un nuovo punto di partenza. Il Mistero dell’Incarnazione entra nell’esperienza religiosa del credente con la figura viva, umana di Gesù Cristo e tale Mistero esige non tanto che i contenuti umani, i valori tipicamente umani ‘diventino polvere’, bensì che essi vengano messi in risalto e vengano uniti al fondamentale percorso di esperienza di questo Mistero. Questo Mistero si lega allora alla vita sulla base della seguente reciprocità: quanto più l’uomo porta il suo contenuto umano, personale dentro questa esperienza, tanto più fortemente, chiaramente e grandiosamente egli diviene consapevole del Mistero nella sua oggettiva grandezza come Fatto del Dio-Uomo. E ancor di più il Mistero irraggia il suo vero splendore e permea la vita umana concreta, elevandone in questo modo il valore e il significato”.

La fede nel Mistero dell’Incarnazione introduce l’uomo nel “realismo soprannaturale”, disponendolo ad un realistico atteggiamento nei confronti della vita, delle altre creature e, specialmente, di ogni uomo dall’interno della ricca trama di relazioni interpersonali: “È così, dunque – scrive Wojtyła –, che questo mondo degli uomini, che ci è stato dato nel modo più prossimo ed immediato, al tempo stesso ci è stato anche ‘dato in compito’. E non può esservi dubbio per alcuno che questo ‘compito’ si appoggia, nella visione del mondo dei credenti, al contenuto vitale del Mistero dell’Incarnazione. Anche il senso di questo compito proviene da lì: scoprire l’umanità, estrarre da essa l’intera pienezza possibile, attraverso una particolare mobilitazione del momento creativo che attraversa l’uomo vivo, e dell’amore, che condiziona senza dubbio questo momento creativo – tutto ciò è potenzialmente contenuto nel Mistero del Dio-Uomo”.

Ultimamente, il valore “aderente alla vita” del Mistero dell’Incarnazione consiste nel dono che Dio fa della Sua vita all’uomo. In questa prospettiva, all’uomo che aderisce nella fede a tale Mistero è dato di riconoscere la Trascendenza di Dio nel bel mezzo della rete e dell’intreccio delle creature, e l’uomo “si rivela come ritratto vivente del Dio-Figlio”. Wojtyła, infine, osserva: “Mediante questa prospettiva, che solo l’uomo credente può comprendere, stimare e vivere, il Mistero del Dio incarnato entra quanto più profondamente possibile nella realtà umana e si consolida in essa nel modo più intenso”.

(1 – continua)

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