Il patto di Genova tra le associazioni sindacali e Confindustria ha mostrato la volontà delle parti di cercare di trovare un accordo per una riduzione del cuneo fiscale. Proprio quel cuneo fiscale che continua a essere eccessivamente elevato e che uno studio di Assolombarda ha mostrato essere tra i più grandi in Europa. È certo, come dimostra annualmente la Banca Mondiale nel suo rapporto “Doing business”, che l’Italia è uno dei paesi peggiori dove fare impresa. Le difficoltà burocratiche sono, insieme all’eccessiva tassazione, un enorme freno allo sviluppo delle aziende. I dati che arrivano dall’analisi della Banca Mondiale poco si discostano da quelli di Assolombarda. E cosa dicono? L’Italia è al fondo delle classifiche con un cuneo fiscale e una pressione fiscale eccessivi.
L’Italia ha un problema di competitività molto grande dunque. Il mercato del lavoro rimane troppo rigido in uscita, ma in generale non sono state fatte delle grandi riforme che abbiano dato uno scossone al mondo del lavoro. La situazione attuale è alquanto complicata con una disoccupazione generale superiore al 12% e quella giovanile che colpisce quattro persone su dieci. Ma forse questo “dramma” non è il peggiore, perché c’è un’atra statistica che dimostra l’inefficienza del mercato del lavoro italiano. Il tasso di occupazione, infatti, è almeno dieci punti inferiore agli altri paesi europei (come si vede nel grafico a fondo pagina), dimostrando che il mercato del lavoro italiano ha degli enormi problemi.
Una delle conseguenze di questa incapacità a riformarsi, del mantenimento di una rigidità del mercato del lavoro e di un cuneo fiscale troppo elevato, è che il costo unitario del lavoro italiano ha conosciuto nell’ultimo decennio un andamento crescente. Se l’Italia fosse un Paese con una propria moneta, questo problema sarebbe risolvibile con delle svalutazioni, ma dal 2002 abbiamo l’euro e quindi questa via non è più percorribile. Svalutare era il metodo tipico dell’Italia per cercare di guadagnare competitività, ma come ben sappiamo ciò significa non risolvere il problema.
Fatto 100 il valore nel primo trimestre del 1999, il costo del lavoro ha raggiunto un valore pari a 135 nel 2013 in Italia, 110 circa in Germania e 125 in Spagna. Questo significa che l’Italia ha perso circa 25 punti di competitività rispetto alla Germania e 10 rispetto alla Spagna. Oltretutto la Spagna nell’ultimo triennio ha ridotto il proprio costo unitario del lavoro, mentre l’Italia ha visto una crescita continua.
Cosa ci devono insegnare questi dati? L’Italia ha urgentemente bisogno di una riforma del lavoro, perché il mercato duale attuale è insostenibile anche nel medio periodo. Una riduzione del cuneo fiscale è necessaria, ma è chiaro che non è facile trovare le risorse per attuare una tale misura.
L’Italia ha dunque bisogno di una riduzione della pressione fiscale, ma soprattutto di una coraggiosa riforma del lavoro che possa includere nel mercato un numero sempre maggiore di persone.