L’Agenzia regionale per l’istruzione, la formazione e il lavoro della Lombardia ha reso noti in questi giorni i dati relativi all’ultimo anno di applicazione dei servizi al lavoro basati sul sistema a dote. Il sistema pubblico-privato delle agenzie ha preso incarico 39.000 persone e il 66% ha ottenuto una ricollocazione. Il 25% del totale è stato avviato al lavoro con un contratto superiore ai sei mesi.
I dati sono importanti perché relativi al primo anno di attuazione di Dote Unica Lombardia. Il modello applicato tiene conto di quanto fatto negli anni precedenti e “universalizza” il sistema dote non più per target specifici di disoccupati, ma applica a tutti un unico sistema di servizio profilando risorse e servizi offerti a ciascuno sulla base di una valutazione personalizzata dagli handicap che ogni persona presenta.
La profilatura delle categorie con bassa, media e alta intensità di aiuto richiesta si basa essenzialmente sul tempo che separa la persona dall’ultima esperienza lavorativa. Questo dato è poi ponderato da altri dati personali, (età, genere, titolo di studio, ecc.) che influiscono su intensità e qualità degli aiuti che entrano nel percorso di servizi finalizzati all’inserimento lavorativo.
La valutazione dei costi dei servizi sulla base dei costi standard e la suddivisione fra servizi base pagati a erogazione e servizi pagati a risultato permettono agli operatori di sviluppare i piani personalizzati in modo oggettivo e senza valutazioni soggettive. Tale sistema permette di valutare che non vi siano privilegi assegnati a chi non avrebbe bisogno di servizi di sostegno e spostare quindi risorse verso quelle fasce di lavoratori più svantaggiati che rischiano di rimanere troppo a lungo fuori dal mercato del lavoro.
Attraverso i dati disponibili si può costantemente verificare che il sistema non provochi effetti distorsivi, favorendo o creando ulteriori difficoltà a categorie sociali o figure professionali. La governance del sistema dotale (istituzioni, operatori e parti sociali) è così messa in condizioni di operare le scelte che gli competono sulla base di una valutazione sia dei risultati ottenuti per categorie di lavoratori, sia di efficienza dei singoli operatori coinvolti.
Ciò che funziona così bene in Lombardia sarebbe facilmente replicabile a livello nazionale. Il dibattito sull’Agenzia nazionale per il lavoro potrebbe partire da qui. In fondo il ruolo esercitato dalla Agenzia regionale – garantire il sistema informativo, il modello di gestione dei servizi, i dati per la valutazione – indica un esempio di successo per un’ipotesi di lavoro concreta. Vero è che nemmeno le forze politiche che pure governano la Lombardia e hanno contribuito negli anni passati a costruire il nuovo sistema di servizi al lavoro sono impegnate a sostenere questo modello come proposta nazionale. Prevale ancora una lettura ideologica dei temi del lavoro e, nonostante la svolta segnata dal Jobs act che riprende la via del Libro bianco prodotto da Biagi, ci si concentra su questioni ideologiche e non sulla necessità di un sistema di servizi al lavoro efficaci ed efficienti diffusi su tutto il territorio nazionale.
Per ottenere questo risultato bisogna uscire dalle contrapposizioni Stato-Regioni frutto di una concezione malata della sussidiarietà e concentrarsi nello sviluppare un processo comune per la gestione dei servizi. È all’interno di questo processo (come indica l’esperienza di Regione Lombardia) che la contrapposizione pubblico-privato o fra enti locali (Regione-Province-Comuni) trova il modo di diventare un processo collaborativo con l’individuazione per ciascuno del ruolo che può contribuire di più al raggiungimento di risultati positivi.
È ciò che è mancato nell’elaborazione e applicazione del progetto Garanzia Giovani. I dati lombardi di Dote unica indicano, per esempio, che già in questo ambito i “presi incarico” nella fascia di età 15-29 anni sono stati circa 5.000. Di questi, il 51% ha trovato un inserimento lavorativo con contratto superiore ai sei mesi ed era (essendo per lo più in cerca di prima occupazione) collocato nella fascia ad alta intensità di aiuto (solo poco più di un terzo aveva esperienze lavorative alle spalle). Segno che il modello di servizi generalizzato ha generato un processo in grado di gestire anche un progetto ad hoc come Garanzia Giovani senza dovere cambiare i processi gestionali.
Peccato però che la profilatura prevista dal progetto nazionale non è nota e non può perciò intrecciarsi con quanto previsto dal modello lombardo. Gli operatori non sono pertanto in grado di gestire in modo oggettivo i dati inseriti dai giovani sul portale dedicato e non possono offrire un unico panel di servizi. Questo esempio è indicativo di come molti obiettivi sociali si perdono poi nell’applicazione effettiva. Cercare di uscire dai formalismi burocratici perché si possa lavorare per risultati chiede a tutti, indipendentemente dalle posizioni ricoperte, una disponibilità a essere responsabili dei risultati ottenibili mettendo da parte corporativismi e posizioni di comodo.
La vera sfida resta comunque sulle risorse. I 35.000 disoccupati presi incarico da Dote unica rappresentano il 10% scarso dei disoccupati lombardi. Perché Dote unica possa diventare il servizio al lavoro universale per tutti i cittadini bisogna spostare tutte le risorse oggi spese in politiche passive su un sistema di servizi per la ricollocazione che privilegi le politiche attive del lavoro.
Se vogliamo passare dalla tutela del posto di lavoro alla tutela dei lavoratori, come ci ha invitato a fare il Governatore della Banca d’Italia pochi giorni fa, è questo grande cambiamento nei servizi che dobbiamo favorire. Restare ancorati al passato non aiuta a far decollare una nuova prospettiva di sviluppo economico.