I commenti dei due massimi sondaggisti in Italia, Pagnoncelli e Piepoli, e i dati che essi riportano, offrono un gran numero di spunti. In una ideale chiacchierata a tre proviamo a soffermarci su alcuni aspetti di rilievo che emergono. Il primo dato è che le elezioni del 2008 registreranno un afflusso al voto molto simile a quelle del 2006, un dato che smentisce il timore di un tracollo nell’antipolitica, e dimostra una buona fedeltà degli italiani con l’appuntamento elettorale.
Più partecipazione. Ma è solo un problema di legge elettorale? Nonostante il dato di afflusso non sia molto differente da quello del 2006, resta il fatto che emergeva dal recente Rapporto sulla Sussidiarietà 2007 (Mondadori): la gran parte degli intervistati reclama la possibilità di una partecipazione maggiore al processo politico. La colpa di tale sentimento di estraneità alla politica viene in genere imputata alla attuale legge elettorale, designata ormai capro espiatorio di ogni malcostume politico, in quanto essa non consente di esprimere il voto di preferenza. Tuttavia la “mancanza di democrazia” in cui versiamo non è data solo da questo, ma anche dal fatto che anche all’interno dei partiti mancano dei meccanismi chiari attraverso cui le liste vengono formate. Sono due i momenti in cui si può esercitare l’opzione del voto, che è il sale della democrazia: al momento della costituzione delle liste, e al momento in cui si esprime la preferenza nell’urna. Non solo ci è negata la seconda, ma ci è negata pure la prima possibilità. Anche le declamate primarie del Pd (primarie che nemmeno sono state proposte dal Pdl) si sono poi rivelate più la ratifica di una scelta già effettuata, che l’occasione di confronto tra le diverse anime e correnti del neonato partito.
La questione settentrionale. Piepoli fa notare che il distacco manifestatosi negli ultimi decenni tra la sinistra e l’elettore del nord Italia non sarebbe radicale, ma sarebbe emerso negli’ultimi lustri per il transitorio fenomeno della Lega e per l’incapacità della sinistra di richiamare la sua base storica socialcomunista (e, si potrebbe aggiungere, per i non assestati sconquassi di Tangentopoli). Vi sarebbe ancora, dunque, un distacco tra le basi elettorali reali, ed i partiti che dovrebbero rappresentarle. Una tale situazione potrebbe ancora essere imputata alla legge elettorale attuale: il Rapporto sulla Sussidiarietà 2007 segnala che nella maggior parte degli intervistati vi è un grande desiderio di tornare al sistema maggioritario. Ma il sistema maggioritario è, di per sé, in grado di garantire più prossimità tra elettori e candidati? Il processo di allontanamento tra territorio e candidato non data certo dall’introduzione della nuova legge elettorale: la passata legge, fortemente maggioritaria, permetteva ad alleanze assolutamente eterogenee di proporre candidati completamente scollegati dal collegio in cui venivano presentati, dando così vita a un turismo dei candidati alla ricerca del collegio sicuro, orchestrato dalle segreterie di partito. Ci siamo già dimenticati le ire popolari che si levarono all’epoca della candidatura del centrista e abruzzese Tonino Di Pietro nel rosso Mugello? La lontananza tra voti di un territorio e candidati, non solo al nord, ha origini più lontane, è un processo più consolidato che non quello dovuto alle contingenze attuali.
La questione cattolica e il voto di protesta. Nessuno tra i partiti ha l’esclusiva del voto cattolico. Pur notando Piepoli che una certa preferenza identitaria spinge un cattolico verso l’UDC, Pagnoncelli sottolinea che un cattolico può trovare valide ragioni tanto per votare a destra, che al centro o a sinistra, e che sono altre le considerazioni che porteranno un tale elettore alla scelta dell’uno o dell’altro partito, ossia quelle basate sulle politiche economiche proposte dai partiti. Chiaramente l’UDC si troverà a raccogliere i voti di chi lo sceglierà per la sua identità definita, moderata e cattolica, ma, in una misura consistente, verrà votato dai centristi insoddisfatti del Pd e del Pdl: nelle elezioni del 2008 i voti di protesta non si distribuiranno solo agli estremi, ma anche al centro. Insomma, assisteremo a uno strano voto di protesta, moderato, di centro.
Parliamo dei giovani. Entrambi gli studi evidenziano che non vi è una differenza sostanziale tra il modo in cui sono distribuite le preferenze di voto dei giovani e quelle del dato generale. In poche parole, non esiste una “questione giovani”. Una volta, forse, esisteva perché università e licei, con le classiche proteste autunnali, facevano da grancassa a temi tipicamente di sinistra. Oggi gli autunni nei licei e nelle università non sono più così torridi e lo stesso percorso formativo non è più così caratterizzato da forti correnti ideologiche che rendono più probabile un voto piuttosto che un altro. Insomma, ormai i giovani sono elettori come gli altri, con le loro idee e le loro preferenze, e non un bacino di voto privilegiato. Il dato ulteriore che si può desumere è ancor più significativo: nessuno tra gli attuali partiti riesce a incarnare più degli altri l’idea di avanguardia del rinnovamento politico, così da accattivarsi le preferenze di coloro che vanno al voto per le prime volte.
L’incognita Senato. Entrambi i sondaggisti concordano nell’assegnare la vittoria del Pdl alla Camera, e nel nicchiare per quanto riguarda il Senato. Il punto è che la legge elettorale al Senato prevede il premio di maggioranza assegnato per ogni regione, e non su base nazionale, ed una soglia di sbarramento, 8%, molto elevata. In questo modo fluttuazioni minime di voto attorno ai partiti più piccoli, come la Sinistra arcobaleno, la Destra e l’UDC, possono comportare grandi cambiamenti nella distribuzione dei seggi dei senatori. Facciamo alcuni esempi. In Campania l’ “effetto monnezza” assicura la vittoria al Pdl. Tuttavia se l’UDC passasse l’8% dei consensi parteciperebbe assieme al Pd alla divisione dei seggi rimanenti, cosa che, se si arrestasse al 7,9%, non avverrebbe. In Liguria invece la situazione è ancora più strana. Pd e Pdl si contendono la vittoria, e la Sinistra arcobaleno si avvicina all’8%. In questo modo vi potrebbe essere una vittoria di misura del Pdl, che prenderebbe il premio di maggioranza, e una sconfitta del Pd, che si troverebbe a dividere i seggi con la Sinistra Arcobaleno; con una piccola differenza di voti, però, il Pd vincerebbe, e sarebbe il Pdl, questa volta, a doversi dividere i seggi con la Sinistra arcobaleno. Si tratta si semplici esempi, per spiegare che al Senato la situazione finale è veramente difficile da pronosticare.
(Sante Pollastro)