Nel calderone dei programmi elettorali dei due principali schieramenti che si candidano alle prossime elezioni, un capitolo decisivo è quello dedicato al taglio dei “costi della politica”. In entrambi i casi una delle iniziative proposte è relativa all’abolizione delle province.
Nel programma veltroniano un paio di righe vengono dedicate a questo argomento. E’ infatti obiettivo dell’ex sindaco di Roma quello dell’«eliminazione delle Province là dove si costituiscono le Città Metropolitane». Dall’altra parte, il Cavaliere si propone, come si evince dalla settima delle sue missioni “per il futuro dell’Italia”, il proposito di ridurre la spesa pubblica «a partire dal costo della politica e dell’apparato burocratico (ad esempio delle Province inutili)».



Certezze – Se queste indicazioni si materializzeranno in interventi concreti potremo saperlo solo col tempo. Per ora bisogna fare i conti con un’unica certezza, quella che il taglio delle Province porterebbe ad un risparmio considerevole. È quello che sostiene l’Eurispes, stimando in 10,6 miliardi di euro il ricavo dal taglio delle suddette. Secondo una recente indagine, infatti, nel solo 2006 è stata riscontrata una spesa complessiva delle Province italiane pari a 13 miliardi di euro. Di questi, il 18,3% sono costituiti da spese sostenute per i redditi da lavoro dipendente, contro il 28,4% dei consumi intermedi, il 22,3% di investimenti fissi lordi e il 31% di tutte le altre voci di spesa. Nell’ipotesi in cui il personale delle Province (pari a 62.778 tra dirigenti e impiegati), venisse re-impiegato in altre Amministrazioni o Istituzioni locali, l’abolizione delle Province consentirebbe, quindi, un risparmio complessivo pari a 10,6 miliardi di euro. Secondo l’istituto, le Province italiane inoltre presentano negli ultimi anni conti economici in netto peggioramento: dal 1986 al 2006, le entrate sono aumentate ad un tasso di crescita medio annuo del 13,9%, ovvero il 5,3% in più rispetto a quello di tutte le Amministrazioni pubbliche e lo 0,6% in più rispetto a quello delle Amministrazioni centrali.



Spese – Parallelamene oltre alle entrate sono aumentate anche le spese, tanto che solo in alcuni anni le Province italiane sono state in grado di soddisfare pienamente il proprio fabbisogno finanziario. Con tasso di crescita medio annuo del 16,6% (+2,7% rispetto alle entrate), le spese sono più che quadruplicate, fino a toccare, nel corso del 2006, i 13 miliardi di euro. Il “peso” maggiore sul fabbisogno finanziario è rappresentato dai consumi finali delle Amministrazioni provinciali (redditi da lavoro, consumi intermedi, ammortamenti), che costituiscono il 78% della spesa corrente del 2006, contro il 22% delle altre voci di spesa (contributi alla produzione, trasferimenti ad enti). Rispetto al 2000, l’aumento della spesa per consumi finali è stato di 3,1 miliardi di euro (+77,2%). Questo significa che, oltre a costituire una parte preponderante delle voci di spesa corrente, i consumi finali hanno subìto un aumento del 32% in più rispetto a quello delle altre voci di spesa corrente (+45,1%). Dal punto di vista della gestione in conto capitale, la voce di spesa che ha contribuito maggiormente all’aumento del fabbisogno finanziario delle Amministrazioni provinciali è quella degli investimenti fissi lordi. Nel corso di soli sette anni, dal 2000 al 2006, questi ultimi sono, infatti, aumentati di 1,3 miliardi di euro, registrando un preoccupante tasso di crescita dell’87,9%.



(foto:imagoeconomica)