I casi francesi – Poco tempo fa, il 19 marzo, la Francia veniva colpita dalla notizia della morte di Chantal Sébire, la donna affetta da una rara forma di tumore che le aveva deformato il volto, e che, dopo aver chiesto ufficialmente di poter ricorrere all’eutanasia, si era tolta la vita assumendo una forte quantità di barbiturici. Ora scoppia un nuovo caso: pochi giorni fa, infatti, una francese di 31 anni, Clara Blanc, colpita da una grave malattia degenerativa (sindrome di Ehlers Danlos), ha chiesto, in una lettera rivolta al presidente francese Nicolas Sarkozy, di indire un referendum sull’eutanasia. «I nostri politici si sono opposti alla sua richiesta», scrive Clara Blanc, riferendosi al caso di Chantal, e chiede quindi un «referendum nazionale» sul tema, precisando che la sua malattia la ridurrà a breve «su una sedia a rotelle e poi verso la dipendenza totale, il tutto tra dolori generalizzati e intensi». La donna dice anche di non volersi «suicidare» e di voler «morire il più tardi possibile».
Nessuno, naturalmente, intende permettersi di giudicare parole o richieste generate da situazioni di profondissimo dolore; il punto è cercare di capire l’eventuale intervento pubblico che tali richieste implicano, nel momento in cui contengono riferimenti al mondo politico e a scelte che dovrebbero essere fatte su larga scala. Questo è un punto da giudicare. Così come è da giudicare l’immediata accondiscendenza che da molte parti viene data a richieste di questo genere, con un trasporto che il più delle volte è causato dall’ideologia più che da un reale sentimento di pietà nei confronti di chi soffre (pietà che si potrebbe esercitare in molti modi, assai più convincenti che non la somministrazione della “dolce morte”).
Testamento biologico e programmi elettorali – Anche nell’attuale dibattito politico pre-elettorale il tema della decisione sulla conclusione della vita è entrato in vari modi. Soprattutto si è parlato di testamento biologico, che da alcuni esponenti, soprattutto del Partito democratico (da Umberto Veronesi ai radicali), viene indicato come diritto civile che deve essere riconosciuto. Così si legge infatti nel programma del partito di Veltroni: «Il PD riconosce il diritto inalienabile del paziente a fornire il suo consenso ai trattamenti sanitari a cui si intende sottoporlo, così come previsto dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione di Oviedo. Il PD si impegna inoltre a prevenire l’accanimento terapeutico anche attraverso il testamento biologico». Nessuna apertura al testamento biologico, invece, nel programma del Pdl, dove si parla di «esclusione di ogni ipotesi di leggi che permettano o comunque favoriscano pratiche mediche assimilabili all’eutanasia». L’ambiguità nella distinzione tra eutanasia e testamento biologico è peraltro approfonditamente analizzata da Francesco D’Agostino nel contributo cui rimandiamo.
La testimonianza di Giovanni Paolo II – «Da più parti sembra purtroppo avanzare la “cultura della morte”», che porta a «proporre l’eutanasia come soluzione per risolvere certe situazioni difficili». Con queste parole Benedetto XVI, rivolgendosi lo scorso 5 aprile all’assemblea generale del Pontificio consiglio della Famiglia, ha collegato ancora una volta il tema dell’eutanasia alla sua vera radice culturale: cultura della morte, appunto, e non certo difesa di un diritto. Anche il Cardinal Schonborn, rievocando il 2 aprile gli ultimi giorni di sofferenza della vita di Giovanni Paolo II, è ritornato a bollare l’eutanasia come semplice forma di omicidio, alla quale ha contrapposto la figura del Papa sofferente ma ancora attaccato alla vita: «Non poteva più parlare. Solo un gesto, muto, di benedizione – ha detto l’Arcivescovo di Vienna – e quel volto sofferente, indimenticabile, dell’amato Papa». Una testimonianza di totale e incessante attaccamento alla vita, che vale più di ogni discorso.