Da più parti spesso si ricorda che il grado di civiltà di uno Stato si evince dalle condizioni delle sue carceri. In Italia il tema è stato più volte affrontato da un punto di vista teorico e di dibattito, ma è difficile non pensare che molti istituti di pena siano lasciati un po’ a sé stessi, anche per la mancanza di progetti organici di recupero e reinserimento dei detenuti.
A “Le Vallette” di Torino c’è chi ha deciso di giocare la partita da protagonista. «Come cooperatori sociali – esordisce Luigi Geninazzi, presidente del consorzio Kairos, che comprende 14 cooperative sociali e si occupa del lavoro con i detenuti – siamo chiamati a stare nel mezzo dei processi sociali più complicati. Da quasi cinque anni abbiamo attivato progetti di inserimento lavorativo nelle carceri, tre anni fa siamo partiti con la gestione della mensa che confeziona e gestisce 1200 pasti per i reclusi. Sono 22 i detenuti, seguiti da cuochi professionisti, che partecipano al progetto. Il nostro obiettivo continua Geninazzi è quello di dare un pasto dignitoso ai detenuti e introdurre un forte elemento di professionalità, curando la cultura del lavoro. Oggi stiamo anche sperimentando dei servizi di catering per l’esterno, in attesa dell’autorizzazione definitiva del ministero».
Ma il consorzio Kairos non si occupa solo di ristorazione: ha realizzato anche una torrefazione che dà lavoro ai detenuti.
Il caffè, che proviene direttamente dagli altopiani del Guatemala, dopo essere stato lavorato e confezionato è destinato alle botteghe equosolidali e alla distribuzione delle Coop del Piemonte. E non è tutto. Allo studio ci sono anche l’apertura di una panetteria e la creazione di un’officina meccanica per la manutenzione di pullman e tram. Questa commessa inizialmente dovrebbe occupare 4 detenuti, che potrebbero diventare 10 in seguito. Sono attivi anche progetti per realizzare un vivaio in un’area di 1Omila mq, una falegnameria e un centro per la raccolta dei dati.
A questo punto viene spontaneo chiedersi quali sono le prime risposte dei soggetti coinvolti. «Tendenzialmente le reazioni dei detenuti – prosegue Geninazzi – sono positive, anche se va annotato qualche episodio di tensione. Alla fase di colloquio iniziale, segue un bilancio delle competenze del detenuto e delle valutazioni di carattere sociale attraverso attività formative di gruppo. Il nostro compito e di mettere la persona, una volta uscita dal carcere, in condizione di poter accedere al mercato del lavoro». Le lungaggini burocratiche sono all’ordine del giorno, ma sono anche l’inevitabile dazio per una maggiore sicurezza e vanno sempre tenute in considerazione. «Le reticenze della società sono sempre presenti – continua Geninazzi – e quando accompagno qualcuno a visitare le attività all’interno della struttura, registro due diversi stati d’animo: da un lato, coloro che entrano rimangono colpiti perché inizialmente avevano solo un’idea negativa, dall’altro le facce dei detenuti, quando offrono il caffè o la pizza che hanno prodotto, si riempiono di stupore».
Così, il detenuto diviene un lavoratore fiero di quello che fa, una persona alla quale viene restituita una precisa dignità. I detenuti impiegati in lavori a “Le Vallette” sono 60 su 1400 ospiti complessivi della struttura. È indubbiamente un esperimento interessante: una goccia nel mare in termini quantitativi, ma un caso sociale significativo, che può aprire nuovi percorsi e offrire soluzioni con cui la politica deve confrontarsi. «C’e bisogno di un’inversione di rotta – conclude il presidente di Kairos – . La società civile deve riappropriarsi di questo tema. Chi non vive la realtà del carcere, spesso la rimuove o meglio la delega alle strutture preposte (ministero competente ed enti vari). E la politica, dal canto suo, deve saper valutare e poi decidere, cercando di conoscere le situazioni, i progetti e i numeri della cooperazione sociale.
Nel momento in cui si tocca con mano la positività di questi progetti, le strade da prendere si intravedono con maggiore facilità».