Si è parlato molto, forse troppo dell’affaire Formigoni. Sulle sue sorti, e sull’esito del suo confronto-scontro con Berlusconi tutti hanno detto la loro. Adesso è il momento di dare la parola al diretto interessato. In questa intervista a ilsussidiario.net Roberto Formigoni parla a tutto campo delle prospettive future, del rapporto che la Regione Lombardia instaurerà con il nuovo governo, del suo incarico alla vicepresidenza del partito. Un’occasione per fare chiarezza, per troncare le troppe parole dette, e per rilanciare sui nuovi impegni da affrontare.



Partiamo dalla questione forse più spinosa: molti organi di stampa parlano ancora della sua mancata discesa a Roma come di una sconfitta sua e dell’elettorato a lei più legato. Qual è il suo giudizio su tutta questa vicenda? 

Comprendo le perplessità di alcuni miei amici, tuttavia a me interessa parlare del futuro. Dopo la candidatura e la vittoria del Popolo della Libertà avevo davanti due possibilità: da una parte un incarico a Roma, dall’altra parte proseguire l’esperienza in Regione Lombardia. Tale esperienza ha presentato due elementi di novità: per prima cosa avevamo vinto l’Expo, a pochissimi giorni dalle elezioni; in secondo luogo, la vittoria del centrodestra ha reso finalmente praticabile l’ipotesi del federalismo, e in particolare del federalismo fiscale. Alla luce di queste novità, nel confronto con Berlusconi, abbiamo scelto per l’ipotesi di continuare a governare la Regione Lombardia, per questa e anche per la prossima legislatura, ovviamente se gli elettori saranno d’accordo.
In più Berlusconi mi ha affidato l’incarico di vicepresidente nazionale di Forza Italia, con il compito particolare di accompagnare Forza Italia verso il Popolo della Libertà. Una sfida molto importante. Fare un nuovo partito conservando, anzi, esaltando certe caratteristiche di partito popolare a impianto riformista con una forte componente cattolico-moderata è certamente un compito complesso e appassionante.



Forse molti ignorano il significato di questo nuovo incarico che le è stato affidato nel partito: può spiegare nel dettaglio l’importanza del lavoro che dovrà svolgere?

L’obiettivo è quello di garantire l’aspetto di conduzione politica di Forza Italia, e in prospettiva anche di preparare il passaggio al Popolo della Libertà. Questo significa mettere in piedi il nuovo partito, assieme ai militanti di Alleanza nazionale, e senza pensare assolutamente a una fusione a freddo, ma creando un partito nuovo e moderno. Per fare questo, i caratteri ispiratori non possono che essere quelli del Partito popolare europeo: un partito che si colloca nello schieramento moderato e riformista, che mette insieme le anime delle culture più importanti d’Europa, cioè un’anima laica e liberale e una componente cattolico-liberale. E in Italia sanno tutti che la componente cattolico-liberale, dal punto di vista sia storico che numerico, ha un’importanza straordinaria e strategica.



Si tratta anche di un ruolo che permette di incidere sulla formazione della nuova classe politica.

Certamente nella costruzione di questo partito il tema della formazione della nuova classe dirigente è un tema fondamentale. Formazione della nuova classe e capacità di aprirsi e coinvolgere ceti nuovi e protagonisti nuovi: da una parte si tratta di saper parlare a giovani e a meno giovani che possono avvicinarsi alla politica; dall’altra parte si tratta di fissare regole per cui si possa scegliere con un metodo democratico coloro che partecipano alle nuove politiche. Un tema su tutti è quello delle preferenze: a mio modo di vedere vanno reintrodotte le preferenze nelle elezioni nazionali, e certamente non vanno tolte nelle elezioni in cui già ci sono (europee e regionali). Non nascondo che questo è un tema di dibattito aperto anche all’interno dello stesso Popolo della Libertà, e su questo si dovrà aprire un confronto chiaro e forte, perché credo che il voto di preferenza sia un meccanismo di partecipazione e selezione della classe dirigente irrinunciabile.

Su ilsussidiario.net stiamo affrontando a più riprese il tema del “modello Lombardia”: un modello il cui valore viene riconosciuto e rilanciato anche da alcuni esponenti del Pd lombardo. Come potrà ulteriormente evolversi questo modello?

In questi ultimi tempi mi sorprendo spesso a parlare di “metodo Lombardia”, più che di modello. Forse è più giusto parlare di modello, ma mi pare appropriato parlare anche di metodo, perchè il “modello Lombardia” è in fondo un metodo con cui affrontare una pluralità di questioni. Fino a questo momento abbiamo affrontato quelle questioni che ormai sono note; ma con lo stesso metodo si può affrontare – ne sono convinto – la totalità o la quasi totalità delle questioni in cui si imbatte un governo regionale. Una parte importante di questo metodo è stato – con un anticipo di tre anni rispetto al livello nazionale – il confronto democratico con l’opposizione. Negli anni in cui a livello nazionale volavano i coltelli, le delegittimazioni e gli insulti, qui in consiglio regionale abbiamo aperto un metodo di confronto, chiaro nella differenza dei ruoli (maggioranza e opposizione), ma anche altrettanto chiaro nel cercare possibili convergenze su alcune questioni che riguardano l’interesse generale e il bene comune. Su tematiche come il federalismo, il regionalismo differenziato, le infrastrutture e lo Statuto abbiamo lavorato insieme.

Possiamo dunque dire che il “modello Lombardia” viene rilanciato, con il fatto che lei continuerà ad essere il governatore di questa Regione, e per di più con la prospettiva anche dell’Expo 2015?

Su questo occorre essere molto chiari: quando parliamo di “modello Lombardia” non parliamo della presenza nella compagine di governo di ministri nati o residenti in Lombardia. Il “modello Lombardia” è un modello culturale, operativo, fondato sulla sussidiarietà, sulla centralità della persona, sulla valorizzazione dell’impresa, sull’esaltazione del ruolo sociale dei corpi intermedi. E’ un libro che tutti possono leggere, e quindi mi auguro che anche l’attuale governo ne prenda almeno alcune pagine per trasferirle a livello nazionale. Noi qui proseguiremo a sviluppare questo modello che ha ancora molto da dire. Tutti conoscono le realizzazioni principali, dalla sanità, alla scuola, alla ricerca, all’innovazione; ma abbiamo in testa altre novità, che cercheremo di sviluppare in questi anni. Questo riguarderà anche il modo di fare l’Expo, che per noi dovrà essere un’occasione straordinaria di relazioni, di rapporti di cultura con tante parti del mondo.

Un modello che sembra affacciarsi anche altrove: è significativo ad esempio il modo con cui il nuovo sindaco di Roma Alemanno ha iniziato il proprio mandato, parlando di sussidiarietà come di una «stella polare» di quello che sarà il suo impegno di sindaco. Il modello Lombardia può secondo lei essere applicato anche in altre realtà amministrative?

Certamente sì. Alemanno è una delle personalità con cui in questi anni abbiamo coltivato un rapporto, con cui abbiamo parlato e condiviso degli obiettivi. Certamente, ciascuno viene dalla propria storia e ha i suoi accenti particolari; ma su temi come la sussidiarietà abbiamo scoperto di avere forti inclinazioni comuni, fra l’altro verificate anche in un incontro in campagna elettorale a Roma molto interessante.

Analizziamo la fase di trasformazione dello scenario politico che queste elezioni hanno inaugurato. C’è un nuovo bipartitismo, con partiti che stanno avviando forti riflessioni riguardo alla propria struttura e concezione: basti pensare al dibattito sul ruolo delle fondazioni. All’interno di questo cambiamento dello scenario politico, la proposta da lei avanzata alle precedenti elezioni regionali di creare una sorta di “lista dei riformisti”, che andasse oltre gli schemi dei partiti, può riacquistare nuovo valore?

Le elezioni hanno certamente rappresentato una novità molto forte; spetta ora ai partiti saper meritare questo cambiamento che gli elettori hanno indicato. I cittadini si attendono dal Governo un’azione forte, una capacità di affrontare i problemi senza veti ideologici, senza remore, senza spirito di vendetta. Si attendono una fase di modernizzazione del Paese, e anche di un certo decisionismo. Non si governa se non si ha una concezione culturale alta per leggere il Paese, per dialogare con la gente. Se maggioranza e opposizione si dimostreranno fedeli a questi compiti che visibilmente la gente ha assegnato loro, il modello bipolare tendenzialmente bipartitico si affermerà; se la delusione dovesse prevalere, allora tutto diventa possibile, anche eventuali passi indietro. Entro questo schema, l’obiettivo di un partito moderato è quello di assumersi la sfida del riformismo, e quindi il mio lavoro sarà per connotare il Popolo della Libertà su questo versante riformista, modernizzatore, e nello stesso tempo molto attento alle culture di fondo del nostro Paese. Io avevo lanciato la proposta di una lista di riformisti in un momento in cui tutto ristagnava nella morta gora delle contrapposizioni e delle delegittimazioni. Oggi abbiamo questa nuova possibilità, indicata dagli elettori e quindi in questo momento il mio lavoro è per connotare veramente di riformismo il Popolo della Libertà.

Un altro punto importante che può segnare l’attività del nuovo governo è la questione Alitalia, sia in termini generali, sia, sul versante lombardo, per le sorti di Malpensa. Quali sono secondo lei le prospettive?

E’ una sfida enorme e molto complessa, ma guai se fosse persa. Noi abbiamo condotto un’opposizione molto dura contro le politiche sbagliate, contro i ritardi che si sono addensati con l’ultimo governo; ma ci sono anche errori che ci trasciniamo dai governi precedenti. Quindi da una parte io guardo con molta attenzione al lavoro che stanno facendo alcuni uomini attorno a Berlusconi, in particolare Bruno Ermolli, per costruire la cordata italiana e per dare un programma industriale. Questa è la scommessa: la cordata ci vuole, perchè è giusto mantenere l’Alitalia a maggioranza italiana, ma ci vuole anche un forte socio industriale internazionale. Dall’altra parte anche su Malpensa andrà ripreso il lavoro. Malpensa deve confermare il suo ruolo di hub, e per questo è necessario che il governo – il gestore nazionale – proceda nella direzione di rinegoziare gli accordi bilaterali che avevamo chiesto, procedendo a quel lavoro di sistemazione e di connessione razionale tra i tanti aeroporti del Nord. Poi è chiaro che tutto questo va coordinato con le politiche per l’Expo e con le politiche per il turismo. Sono due capitoli connessi, anche se ciascuno con una sua identità, che richiedono una dose di lavoro molto molto forte, e che attendo entro breve di potere iniziare con il nuovo governo.

Un suo giudizio conclusivo su quest’ultima campagna elettorale. Per lei c’è stato un forte riconoscimento personale (basta ricordare l’accoglienza avuta al Palalido): la sua vittoria più grande non è forse quella di un metodo che lei ha condiviso, affermato, e che viene riconosciuto dalla gente?

Tutti hanno potuto vedere come un’impostazione culturale e politica, che ha segnato l’esperienza mia e di molti altri in questi anni, abbia oggi trovato una base popolare straordinaria, al Nord e al Sud: io ho presente incontri con migliaia e migliaia di persone ciascuno. Questa anima, questa caratterizzazione è viva e presente nel Paese e noi continueremo a lavorare in questa direzione. Il Pdl avrà valore se sarà capace di valorizzare questa componente. Gran parte della vittoria del Pdl è dovuta in modo significativo anche al concorso di questo filone culturale, di questa speranza nuova che ha convinto migliaia di persone. Questa realtà c’è, e non può distruggerla nessuno; la sfida è che questa realtà cresca, e che all’interno del Pdl ci sia spazio adeguato per una realtà formidabile come questa.