Lo ha annunciato ieri in serata Maurizio Sacconi: l’esecutivo farà dietro-front e correggerà le due norme, inserite nella manovra, che hanno scatenato le critiche dell’opposizione e creato imbarazzo nella maggioranza, vale a dire i due articoli dedicati agli assegni sociali e ai precari. O meglio: mentre la rettifica del provvedimento sugli assegni sociali è data per certa, per ora se intervenire anche sul tema dei precari sarà deciso al termine di una verifica di governo, che non ha ancora deciso – riferisce sempre Sacconi – se modificare la norma in commissione o farlo direttamente in aula.
Sembrava, fino a ieri, che il governo non volesse sentir ragioni. L’unica concessione mostrata alla possibilità di modificare la manovra è stata su un emendamento riguardante la spesa dei ministeri, richiesto dal Quirinale. Altrimenti, – questo ha temuto Tremonti – se facciamo concessioni e apriamo alle modifiche il rischio è quello che la manovra si ritrovi travolta da una fiumana di emendamenti.
La critica dell’opposizione era stata durissima: la norma è fatta apposta per approfondire ulteriormente il “dualismo” del nostro mercato del lavoro, quel “regime di apartheid tra protetti e non protetti”, hanno scritto sul Corriere della Sera, all’indomani del blitz incriminato, Enrico Letta e Pietro Ichino. Ma il provvedimento ha creato imbarazzo e difficoltà anche nella maggioranza: Sacconi i giorni scorsi ha detto di sentirsi “distinto e distante” da una norma nata in Parlamento e Brunetta ha dichiarato che “quella norma va rivista”.
Ma andiamo con ordine. Una legge del 2001 prevedeva che il lavoratore assunto con contratto di lavoro a termine, in caso di violazione e irregolarità nella proroga di quest’ultimo, venisse assunto a tempo indeterminato. Tra il 1998 e il 2002 Poste Italiane hanno fatto un ricorso massiccio a contratti di lavoro a termine, assumendo lavoratori per periodi brevi – tre mesi – per adeguare l’organico dei portalettere alle esigenze di distribuzione. Lavoratori che poi sono stati lasciati a casa e reimpiegati, con un nuovo contratto a termine, in un periodo successivo. I dipendenti si sono opposti e hanno cominciato a fare ricorso, accusando l’azienda di fare un uso improprio di contratti a termine per coprire una carenza strutturare di organico. Si aprono così, tra il 1998 e il 2005, più di 20mila vertenze. In molti casi i giudici danno ragione ai dipendenti e scattano le assunzioni a tempo indeterminato. Ma i ricorsi costano e chi perde paga. 5300 assunzioni forzate nel solo 2004, pare, e i costi che per Poste italiane decollano, con un impatto per le Poste di 375 milioni di euro (per la Camera) se non addirittura di 750 milioni di euro (per le Poste). L’Azienda corre ai ripari e conclude accordi con tutte le sigle sindacali, per disinnescare il problema delle vertenze, ma il negoziato non riesce ad essere risolutivo: tra ulteriori assunzioni di personale e accordi bilaterali (le Poste rinunciano al ricorso, il lavoratore è assunto ma restituisce il risarcimento ottenuto in primo grado, e altre varianti a seconda degli accordi e dei casi) sulle Poste pende il rischio di massicci reintegri forzati, di dover far fronte a ricorsi ad oltranza e quindi a costi esorbitanti.
Arriviamo così al presente. C’è chi parla di azione di lobby da parte di Poste Italiane, chi di blitz compiuto nel pieno della notte durante i lavori in commissione parlamentare. Fatto sta che passa un emendamento in base al quale al posto del reintegro c’è l’indennizzo di alcune mensilità (tra 2,5 e 6 mensilità) dell’ultimo stipendio, ma non l’assunzione. Come avviene sempre in politica, il metodo è anch’esso, volenti o no, una soluzione politica e opposizione e sindacati lo sanno benissimo. «Siamo al paradosso – ha affermato Bersani – per cui un precario che ha avuto un contratto irregolare finisce per no avere più né il reintegro in un contratto a tempo indeterminato, ma neanche il contratto a tempo determinato» e per Ichino l’articolo è «incostituzionale», perché se la norma è una sanatoria varrà solo per i giudizi pendenti, ma proprio per questo – afferma il giuslavorista del Pd – «non si può stabilire una regola che vale solamente per chi è in causa in quel momento». La maggioranza smorza i toni e dice che il provvedimento è ad hoc per le Poste, insomma una sanatoria per salvare l’azienda dai costi di migliaia di ricorsi. Il servizio studi del Senato dice però che la norma è scritta in modo poco chiaro e dà adito a molti dubbi, perché «non si capisce se essa riguarda solo i giudizi in corso o se invece apra la strada a una nuova disciplina a regime». Che andrebbe ad interessare un mercato del lavoro formato da 2,2 milioni di lavoratori assunti con contratto a termine, il 9,4% sul totale degli occupati. Confindustria difende il provvedimento, dicendo che occorre porre un freno alle reiterazioni e che le tutele contro l’abuso di contratti a termine rimangono invariate, perché se si supera il limite massimo di 36 mesi c’è ancora la sanzione della trasformazione del contratto a tempo indeterminato, che vale sempre anche nel caso in cui il rapporto di lavoro a termine supera il termine fissato».
Mentre il Pd ha chiesto di modificare subito il provvedimento, Tremonti fino a ieri non ha voluto sentire ragioni per non correre il rischio di far slittare i tempi e ritrovarsi la manovra, a settembre, ancora da approvare. Con il rischio di vedere il classico e temuto assalto alla diligenza, perché una modifica avrebbe costituito un allettante precedente per numerosissime istanze di modifica – e quindi di spesa – interne alla maggioranza. Quella ipotizzata da Sacconi era fino a ieri l’ipotesi più verosimile: tutto nella manovra rimane com’è e «il disegno di legge che accompagna la manovra sarà la sede idonea per interventi correttivi coerenti con gli accordi del 2001 fra aziende e sindacati». Poi l’apertura e l’annuncio della disponibilità a rivedere il testo.
Non si può dare atto alla maggioranza di essere stata prudente: tutti ricordano le barricate contro la riforma dell’articolo 18 che ci furono nel 2001, proprio quando al governo c’era Berlusconi. Quella brutta avventura pose una grave ipoteca sulla volontà dell’esecutivo di allora di fare riforme bipartisan. La vicenda dei precari ha dimostrato che la sicurezza sociale e la riforma del nostro mercato del lavoro sono uno dei temi – forse il tema su tutti – che richiede provvedimenti condivisi ed espliciti, o quantomeno chiaramente formulati. Solo su questa base sembra possibile parlare di riforma del mercato del lavoro, di tutele e di flessibilità in modo non ideologico, da una parte e dall’altra.