Ieri alla Camera dei Deputati ha preso il la discussione generale sul Dpef con la relazione dei relatori Gabriele Toccafondi (PdL, per la maggioranza) e Pier Paolo Baretta (Pd, per la minoranza).
Durante la discussione Toccafondi ha dichiarato che Dpef prefigura una manovra «seria e rigorosa che fa i conti con la congiuntura sfavorevole, i vincoli europei e le criticità dei conti pubblici».
Lo stesso relatore ha anche ribadito l’intenzione del governo di procedere ad una redistribuzione delle risorse alle famiglie e ai lavoratori, nel caso in cui sul fronte della crescita dovessero esserci «segnali positivi: non c’è dubbio che in questo caso una diminuzione della pressione fiscale per sostenere i redditi è dovuta».
Ieri, in una intervista a ilsussidiario.net lo stesso Toccafondi aveva individuato sinteticamente il punto cruciale del Dpef.
«Nel Dpef l’aspetto centrale è da una parte l’abbattimento del deficit, dall’altra dare fiducia il più possibile a chi la ricchezza la produce e la ricchezza non la produce uno Stato, ma la singola persona che mette su l’impresa Il presidente dell’Istat Biggeri ha comunicato un dato rilevante: nei primi tre mesi del 2008 la bilancia delle esportazioni è aumentata quasi del 50%. Se le imprese italiane esportano e riescono a vendere nonostante tutto – nonostante l’aumento dei prezzi, nonostante l’euro sia più forte del dollaro – l’Italia funziona ed è l’Italia delle piccole imprese. Quello che non funziona è che mentre l’esportazione è aumentata del 50%, la bilancia commerciale sul solo prodotto importato energetico, quindi il petrolio e l’elettricità, aumenta del 70%. Questo vuol dire che se è vero che si esporta di più – e quindi entra richiesta, e aumentano lavoro e occupazione – è anche vero che l’imprenditore che ricava di più deve spendere molto di più per produrre. Ma vuol dire che non può aumentare né il reddito dell’imprenditore, né le buste paga dei suoi dipendenti, né lo Stato può chiedere di più come tasse. Quindi è chiaro che il punto centrale – e ritorno alla domanda sull’inflazione – è il prezzo del petrolio. Cioè abbiamo un’inflazione importata che condiziona il rincaro del nostro prodotto. E un punto fondamentale del Dpef è quell’1,7% di inflazione programmata, contro un’inflazione reale al 3,4% o addirittura maggiore».
Parole dure per il documento sono state invece quelle di Pier Paolo Baretta secondo cui il primo Documento di programmazione economico-finanziaria del governo Berlusconi «non e’ all’altezza dei problemi del Paese, e’ inadeguato e inefficiente».
«La nostra principale sofferenza- spiega all’assemblea di Montecitorio l’ex sindacalista della Cisl, oggi deputato democratico- e’ la scarsa crescita. La nostra economia non si sviluppa ai livelli dei nostri partner e competitori». Giorno dopo giorno, quello che si configura come «la vera emergenza e priorità sociale ed economica» è «la crisi del potere di acquisto dei redditi, delle retribuzioni e delle pensioni». Secondo Baretta «più crescita, più reddito, meno deficit» non sono separabili, «ne’ nell’approccio strategico, ne’ nelle scelte di merito, ne’ nella tempistica con la quale combatterle».
La ricetta di Baretta per sostenere il potere d’acquisto dei redditi da lavoro e da pensione è racchiusa in due mosse che il Governo dovrebbe fare: «Portare l’inflazione programmata al livello massimo compatibile con il mandato della Bce; innalzare le detrazioni fiscali sui redditi da lavoro e da pensione».