«Una volta tanto mi trovo d’accordo con Antonio Di Pietro. Se è vero che la posizione della questione di fiducia è un “attentato” al Parlamento, sarebbe stato dovere del presidente Fini, forte anche del fatto che il suo mandato non è revocabile e che egli ha ormai l’appoggio di tutta l’opposizione e di un buon trenta per cento della maggioranza, far qualcosa di più che «elevare una forte protesta» e pronunciare una “vibrata condanna”». Lo afferma il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga che, riferendosi alla questione di fiducia posta dal governo al dl anti-crisi, rileva: «Fini si sarebbe dovuto rifiutare di porre all’ordine del giorno la questione di fiducia, a costo di dar vita a un conflitto costituzionale. E questo nella certezza che il capo dello Stato, la Corte Costituzionale ed anche la piazza gli avrebbero dato ragione». Cossiga rileva che questo fatto è «un altro capitolo di due storie “parallele”: la prima è quella, più seria, dell’evoluzione del ruolo di alcune delle più importanti Istituzioni costituzionali del nostro Paese. La seconda storia, meno seria, è quella della “premiership” di un partito che ancora non c’è, e chissà se mai ci sarà». Quanto a questa “seconda storia”, il senatore a vita sostiene: «io, che mi sono adoperato per l’inserimento pieno degli eredi del fascismo nella normalità della vita costituzionale democratica, non ho ancora capito che cosa mai possa accomunare un partito di ex-socialisti, ex-liberali, ex-democristiani, ex-radicali, di militanti di Cl e di giovani leve del “conservatorismo democratico”, con un partito che è l’erede del Fascismo del Ventennio e del partito fascista repubblicano, dei “ragazzi di Salò”, di coloro che l’amico La Russa ha celebrato come combattenti per la Patria e per l’Onore accanto ai germanici delTerzo Reich. E che cosa c’entri politicamente Silvio Berlusconi, figlio e nipote di antifascisti, picchiati dagli squadristi e Gianfranco Fini che se fosse stato meno giovane avrebbe certo militato nelle Brigate Nere o nella Decima Mas».