Il decalogo proposto dagli amici Gianni Pittella e Andrea Geremicca per rimettere in moto il Mezzogiorno contiene spunti interessanti e buoni propositi che hanno l’aspetto di strumenti in una immaginaria cassetta degli attrezzi.
Martello tenaglie e giraviti sono importanti per chi abbia voglia di costruire – ed è per questo che l’iniziativa va seguita con attenzione – ma non esauriscono il problema che resta quello di sempre: di chi, cioè, dovrà mettersi materialmente all’opera. In una parola, del manico.
Regole convincenti sono essenziali per il buon funzionamento di una organizzazione e, dunque, anche di una democrazia. Fondamentale è poi il loro rispetto. Ma rifondata la base della convivenza e ottenuto il rispetto dei nuovi patti potrà sempre accadere che l’economia resti al palo. La retorica degli onesti dovrebbe essere temperata dall’urgenza delle persone capaci, in grado di passare dalle parole ai fatti.
L’obiettivo, più semplicemente, non può essere più individuato nella definizione di una generica società degli onesti (meglio ancora se sorretta da un valido sistema di pesi e contrappesi) ma in un blocco di precise realizzazioni utili a conseguire il più alto benessere possibile per la maggior parte degli amministrati.
Le domande alle quali occorre fornire risposte sono: che tipo di futuro vogliamo riservare ai nostri figli? In quale direzione intendiamo rivolgere i nostri sforzi per creare ricchezza? Quale ruolo vorremmo si attribuisse alle nostre città perché possano prendere parte attiva nella divisione internazionale delle competenze?
Ecco, il decalogo di Geremicca e Pittella, uomini di pensiero e politici di lungo corso, andrebbe completato con un’avvertenza: tutti i suggerimenti non avranno alcun valore se ad accoglierli e a metterli in pratica non saranno persone all’altezza dei compiti che andranno ad assumere.
La selezione del personale politico e amministrativo diventa dunque il nodo centrale da sciogliere: le mani degli incapaci, per quanto onesti e rispettosi, non potranno edificare nient’altro che illusioni.