Oggi è il cosiddetto “Lodo Alfano Day”, il giorno in cui la Consulta potrebbe già pronunciarsi sulla costituzionalità della legge sull’immunità alle alte cariche dello Stato. Le forze politiche aspettano con impazienza il verdetto. Rutelli ha ipotizzato ieri un “governo del presidente” in caso di bocciatura e di caduta del governo, mentre Bossi non ha escluso il ricorso alle urne in caso di colpo di mano per mano giudiziaria. La decisione deve però ancora arrivare e le ripercussioni sulla maggioranza non devono essere date per scontate. Mario Cervi, giornalista e scrittore, analizza il quadro politico e lo stato di salute di entrambi gli schieramenti.
Il verdetto atteso per oggi rappresenta davvero un passaggio fondamentale per il premier e la maggioranza?
Guardi, il percorso politico di Berlusconi è sempre stato costellato di mine vaganti, a livello costituzionale, giudiziario o di altro tipo. Il Lodo Alfano rappresenta l’ennesima mina. Una eventuale bocciatura non rappresenterebbe secondo me una scossa traumatica sul piano istituzionale tale da far cadere il governo. Aumenterebbe sicuramente la tensione e le polemiche, ma niente di più. Alcune voci mi dicono, tra l’altro, che sarebbe pronto un altro lodo, in caso di problemi di questo tipo.
Crede a scenari diversi da quello attuale e alla possibilità di elezioni anticipate? I giornali, ad esempio, ipotizzano lo spostamento al centro degli scontenti dei due poli, Fini e Rutelli, con l’appoggio di imprenditori come Montezemolo e altre figure di rilievo.
Mi considero un antidietrologo, magari passerò per un minimizzatore, ma dato il consenso attuale di Berlusconi, penso che sia in grado di continuare a governare. Ragionare quindi su scenari diversi mi sembra un esercizio sterile, senza basi concrete.
Il famoso incontro tra Berlusconi e Fini a casa Letta avrebbe dovuto riportare la pace nel Pdl, sembra invece che esistano due linee politiche divergenti e che ognuno continui a seguire la propria. La rinuncia di Fini al Lodo Alfano è solo l’ultimo di una serie di distinguo. La pace di villa Camilluccia è già finita?
Più che di pace parlerei di armistizio, rimangono evidenti infatti alcuni punti nevralgici di dissenso: la cittadinanza ai clandestini, due impostazioni diverse nei riguardi dell’immigrazione e i temi etici, come ad esempio il testamento biologico. È tutto rimasto in sospeso, assisteremo perciò a ulteriori frizioni. Se pensiamo ad esempio al tema del patriottismo e dell’identità nazionale, sul quale Fini ha impostato gran parte della sua carriera politica, la distanza con la Lega è enorme. Berlusconi però continua a privilegiare l’accordo con la Lega e a ritenerla affidabile (anche se in passato questo gli aveva causato cadute clamorose).
La freddezza tra i due leader è evidente, come ha dimostrato la recente festa del partito, ma l’altro dato importante è la distanza di Fini dalla base del partito di cui è co-fondatore e dai vecchi “colonnelli”, che ormai sono orientati verso il Cavaliere.
Non credo comunque che questo armistizio possa durare a lungo. Fini, dall’alto della sua carica istituzionale può in qualche modo continuare a giustificare la sua freddezza verso il governo, ma è una situazione precaria.
Ritiene quindi che questa divisione possa esplodere a breve? Fini ha un progetto politico che va oltre il Cavaliere?
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Fini porta avanti senza dubbio un progetto politico che va oltre Berlusconi. Mi domando solo se sia la tattica giusta. Il Presidente della Camera vuole prendere le distanze dalle concessioni del premier alla Lega e a quelle che vengono intese come concessioni al Vaticano, questo è evidente. L’elettorato del suo partito è però disorientato. Mi chiedo: riuscirà non solo a distinguersi, ma anche a ottenere quell’ampio consenso che non lo releghi al ruolo di comprimario?
Si parla molto anche di come si sta spostando il voto dei cattolici, dopo il caso Boffo e la divisione sui temi etici che divide, anche se in maniera opposta, i due poli. Potrebbero esserci delle sorprese su questo fronte?
L’elettorato cattolico è in gran parte ancora orientato verso Berlusconi, soprattutto quella parte meno sensibile alle questioni morali e più preoccupata dei valori di fondo. Poi ci sono i (volgarmente detti) catto-comunisti, che hanno una loro forza e una base nel clero minore, ancora legati al Pd. Si registra comunque un’affezione al di là delle previsioni per il Centro, anche quando si diceva che non aveva più ragion d’essere. È un po’ un rifugio in ricordo della beneamata Dc, perché comunque rappresenta un periodo con difetti grandissimi, ma anche di tranquillità del Paese.
Gli smarcamenti di Fini sui temi etici possono far perdere parte dell’elettorato cattolico al Pdl?
Tutt’altro, con le prese di posizioni di Fini, Berlusconi passa ancor di più per il “difensore della fede”.
Sull’altro fronte, il Pd sarà in grado di tornare sulla scena, una volta che avrà scelto il segretario?
Bersani e Franceschini mi sembrano entrambi persone ragionevoli, ma al Pd manca un trascinatore e anche un’ideologia compatta per la quale tutti si sentano veramente partecipi. Oggi sono divisi e combattono fra di loro. Da un certo punto di vista per il centrodestra non potrebbero esserci avversari migliori di questi, infatti, pur avendo i suoi problemi, la maggioranza si ritrova su un letto di rose.
Il Partito democratico può imparare qualcosa dal voto tedesco o sono due contesti troppo diversi?
Nei Paesi come Francia e Germania, dove il bipolarismo è più solido, l’alternanza e i cambi di linea dell’elettorato avvengono e sono un segnale assolutamente normale. Chi governa bene viene premiato, altrimenti viene punito. Da noi invece viene tutto letto nella logica della rottura, mentre la vera rottura in Italia è stata la sparizione dell’estrema sinistra. Non credo comunque che il caso tedesco possa indebolire la sinistra italiana, perché è già debole per conto suo.
Se davvero la maggioranza può tornare a preoccuparsi dei problemi del Paese, su cosa dovrà puntare con maggiore decisione?
Berlusconi finora ha dato il meglio sui problemi evidenti, da risolvere in maniera efficiente e organizzativa, come i rifiuti di Napoli o il terremoto in Abruzzo. Vede, anche in questo Fini e Berlusconi sono molto diversi: Fini è infatti un eccellente oratore, ma ha la fama di essere piuttosto debole sul piano della operatività quotidiana. Il premier invece è l’uomo del fare, anche se a volte esagera. Fini ama le direttive generali, ma non è molto operativo. O almeno, questo si diceva di lui quando era ministro degli Esteri. Sulle cose di più ampio respiro, secondo me, il governo potrebbe fare di più. Anche sulla crisi economica non mi pare che ci siano state trovate particolarmente geniali. Se dovessi comunque indicare un compito arduo da affrontare con maggior vigore direi che la priorità spetta alla riforma della pubblica amministrazione. Questa è la sfida. In parte è quello che Brunetta sta cercando di fare, anche se un po’ goliardicamente e con metodi empirici.