In questa fase il governo registra un notevole consenso nel Paese, ma si ritrova ad affrontare, dopo aver quasi superato lo scandalo delle intercettazioni private, una prova che alcuni ritengono possa essere fatale, costituita dal Lodo Mondadori e dal Lodo Alfano. Mario Sechi, vicedirettore di Libero, analizza il quadro politico generale e i possibili sviluppi che attendono il Paese.
Si torna a parlare di “complotto” di “poteri forti” e di “invasioni di campo della magistratura”. Sono termini usati a sproposito o hanno un fondamento?
Se da una parte bisogna essere prudenti nell’usare la parola “complotto”, dall’altra bisogna essere realisti e osservare i fatti.
Il primo fatto: una sentenza civile immediatamente esecutiva che condanna Fininvest al pagamento di 750 milioni di euro (un maxi-risarcimento record mai visto nella storia italiana) viene depositata il 3 ottobre, nello stesso giorno in cui la piazza di Roma si riempie di una manifestazione sulla libertà di stampa o presunta tale, contro lo stesso Berlusconi. Una coincidenza? Forse. La seconda coincidenza: l’attacco dal punto di vista economico avviene in contemporanea alla discussione del Lodo Alfano, lo scudo per le alte cariche istituzionali in corso alla Corte Costituzionale. La terza coincidenza: nello stesso tempo si riaprono le indagini sulle stragi di mafia degli anni Novanta, con al centro delle indagini il Senatore Dell’Utri.
Ne discende che la campagna di stampa estiva di Repubblica (legittima e faziosa allo stesso tempo) sulle Noemi e le Patrizie era solo l’antipasto. Di cosa? Ancora una volta dell’azione delle procure. Questo è lo scenario, non so se sia corretto chiamarlo “complotto”, ma a un osservatore della politica non possono che balzare agli occhi queste coincidenze.
Il Presidente Cossiga ha dichiarato che all’interno del collegio c’è chi afferma che «Berlusconi è un pericolo per la democrazia e bisogna fermarlo ad ogni costo». Quale sarà secondo lei il verdetto sul lodo?
L’eventuale bocciatura implica necessariamente la caduta del governo? Non ho la sfera di cristallo e non posso fare previsioni, anche se alcune voci dicono che finirà 8 a 7 in favore della bocciatura. Se così fosse si aprirebbe uno scenario di forte instabilità per il governo, senza dubbio. Il tritacarne giudiziario si rimetterebbe in moto automaticamente, parlo del Processo Mills, come di altri procedimenti e ricomincerebbe la stagione del pentitismo sui reati di mafia. Ne vedremo delle belle. Non oso immaginare cosa potrebbe combinare per esempio la Procura di Napoli sul tema rifiuti, visto che sono riusciti a mettere alla berlina perfino Bertolaso.
Quali sono le vie di uscita in questo caso?
Ne vedo solo una: il ritorno al voto. È chiaro che il Presidente del Consiglio avrebbe bisogno di una nuova fonte di legittimazione, dal punto di vista politico e comunicativo. La prova del voto mi sembra la strada maestra, ma può succedere di tutto.
Tra i protagonisti dello scenario chi ha interessi a evitare il ricorso alle urne, al di là delle dichiarazioni?
Faccio una premessa: i sondaggi sono tutti favorevoli a un centro-destra guidato da Berlusconi. Con un’altra leadership probabilmente il centro-destra sarebbe perdente e non avrebbe l’alleanza con la Lega. Detto questo, le élite, l’establishment istituzionale, industriale, finanziario ed editoriale, non vogliono le elezioni e sperano in una soluzione in stile Prima Repubblica: un “inciucio”, un “governassimo” o un “governo di transizione”, in qualunque modo lo si chiami.
A quale élite in particolare si riferisce?
Confindustria ha già dichiarato di non volere il voto, senza spendere una parola sul fatto che la magistratura ha ripreso a destabilizzare il quadro politico. Se fossi un imprenditore sarei molto spaventato da una sentenza di questo tipo (Cir contro Finivest). Lascia perplessi il fatto che un tribunale commini una sanzione a Fininvest pari alla capitalizzazione di borsa di una delle più grandi aziendi editoriali del Paese, cioè Mondadori. Il gruppo di De Benedetti aveva addirittura chiesto di meno, si è voluto andare al di là.
Oltre a Confindustria?
Penso a quelli che mangiano pane e politica, gli inamovibili e gli eletti senza professione. Quelli che con lo scioglimento anticipato della legislatura non avrebbero la rielezione assicurata.
Da un lato quindi l’istinto di sopravvivenza di queste persone dedite al professionismo politico, senza essere professionisti di niente, dall’altro anche la tentazione di una soluzione tampone che potrebbe coinvolgere una parte del Pdl (penso all’area di Fini e ad alcuni ex-An).
L’ipotesi non è quella di un governo tecnico, infatti Fini lo nega, ma una soluzione istituzionale, ciò che Rutelli chiama “governo del Presidente”.
Lei quindi ritiene verosimili le ipotesi che vedono confluire al centro gli scontenti dei due poli, Rutelli e Fini, con Casini e figure di rilievo come Draghi o Montezemolo?
Come gioco di palazzo hanno un certo fondamento, ma c’è un ostacolo insormontabile: in politica servono voti e consenso e nessuno di questi signori li ha. È impensabile che in un sistema bipolare ci possa essere un “governo fantoccio” che non passi per il voto e non sia legittimato dalla volontà popolare.
Fini in questo caso però ha preso le difese di Berlusconi e ha ribadito l’importanza del volere popolare…
Le ipotesi su cui stiamo riflettendo si basano comunque sul volere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dovrebbero coinvolgere tutta l’opposizione e una parte della maggioranza. Le valutazioni del Colle saranno però fondamentali. La domanda è: in uno scenario caotico prediligerà la stabilità o la volontà popolare?
Il Presidente dovrà tenere conto del contesto storico-politico. Al Nord, ad esempio, sta montando una certa irritazione per la gestione della politica nazionale, oggi più che negli anni Novanta.
A cosa si riferisce?
Guardi, i segnali mi inducono a pensare che si potrebbe arrivare addirittura a una “secessione dolce”. Il federalismo fiscale è ormai divenuto ineludibile perché questo sistema è al collasso, basta guardare i conti delle regioni. «La classe dirigente del Mezzogiorno ha fallito la prova dell’autogoverno», queste sono parole del Presidente della Repubblica, non di Bossi. Di fronte a questo fallimento, morale e politico, il Settentrione inizia a mostrare un certo nervosismo.
Il quadro del rapporto Nord-Sud in caso di “governo papocchio” potrebbe risultare ulteriormente incrinato e potrebbe portare la Lega, privata da responsabilità istituzionali e di governo, a riprendere la linea più dura. Bisogna stare attenti, la nostra Repubblica è molto giovane e l’unità di questo Paese mi sembra a rischio.
Nella maggioranza si inizia a parlare di traditori, anzi di “viscidoni” nell’espressione di Calderoli? A chi si riferisce l’esponente del Carroccio?
È un argomento da palazzo romano, trattato con la solita ruvidezza, che non guasta, della Lega. Nelle fase di instabilità le maggioranze sono sempre attraversate da sospetti. Se togliamo i sospetti e osserviamo il quadro interno emergono due linee: il “lettismo”, basato sul compromesso ereditato dalla migliore Democrazia Cristiana e il “berlusconismo” con la sua carica rivoluzionaria. Non dimentichiamoci che il premier ha cercato in questi anni di importare la rivoluzione reaganiana in Italia. Sono due stili di governo che ogni tanto si scontrano: questo è uno dei momento di scontro tra falchi e colombe. Non è detto che deflagri, potrebbero anche convivere come poi è successo negli ultimi anni.
Il Partito democratico senza leader ancora per una ventina di giorni e fuori dai giochi da tempo che soluzione potrebbe prediligere?
Il Pd non sa dove andare ed è un enigma prima di tutto per se stesso. Ha in mente solo la fine di Berlusconi, questa però è la situazione da 15 anni. Non sono mai usciti da un primitivo anti-berlusconismo e questo spiega la loro crisi. Secondo me deve trovare un suo profilo, una sua identità, cercando di non farsi mangiare da Di Pietro.
Oggi la vera opposizione la fa il “partito di Repubblica”, che, come scriveva ieri Belpietro, tempo fa (Natale del 1997) aveva addirittura suggerito alla magistratura di indagare sul caso.Mondadori. È un partito che esiste ed è stato teorizzato dal direttore Scalfari: un giornale-partito che sopravviverà a partiti e governi. Devo dire che sono coerenti con questa impostazione.