Caro direttore,

Ho pensato a lungo a chi indirizzare questa lettera, se al sindaco del mio comune, se al segretario attuale del Pd, se a un sito Internet piuttosto che a un giornale di opposizione o a un organo di informazione filo governativo. In verità ho pensato a lungo anche se scriverla, perché in fondo che interesse può suscitare l’opinione di un cittadino deluso dalla politica e deluso dalla sua amministrazione comunale, ma convinto che in Italia è comunque ancora possibile tentare di dare un significato al termine partecipazione e confidare in un ritorno dei contenuti nel confronto politico? Alla fine ho deciso di scrivere e ho immaginato di rivolgermi a Lei: in quanto donna, in quanto madre, in quanto professionista, in quanto “di sinistra”, in quanto direttore di un giornale che rappresenta un universo politico che non ho mai appoggiato ma al quale vorrei potermi rivolgere. Strano, no? Non vi voto, ma vorrei farlo. Può avere un senso, per un Pd in cerca di direzione, questa tensione?



Taglio corto e parto dal fatto concreto, dall’elemento detonante, dalla ragione più recente della mia delusione. E mi scuso se riporto un fatto personale ma, spero capirà, mi serve solo per trarre una serie di considerazioni di carattere più generale.

Dunque, abito in una grande città del Nord Italia, periferia di Milano, un tempo città amica dei lavoratori e governata dalla sinistra da quando esiste la democrazia in Italia. La mia famiglia, intendo i miei antenati, è qui da più di un secolo e la nostra è una storia di lavoratori dipendenti, quindi di onesti contribuenti o, come si dice in America, di “taxpayer”.



Ho un lavoro che mi consente un discreto stipendio ma che si giustifica in quanto mi impegna oltre dieci ore al giorno in ufficio e fino oltre le 22,30, una moglie co.co.co., la fortuna di due figli molto piccoli. Bene, nonostante queste caratteristiche, i miei bimbi non hanno trovato posto al nido comunale. Poco male, Lei dirà, in fondo ci sono i nidi privati. In effetti è lì che inseriremo anche il secondo figlio, nella stessa struttura che già accoglie il primo. Il problema è che un posto part-time per un figlio viene a costare 700 euro al mese, mentre due posti in contemporanea, dopo aver ottenuto un ulteriore sconto, ben 1.200 euro mensili.



Fortunatamente, ma facendo ovviamente molta fatica, riusciamo a sopportare un tale onere. Tuttavia ancora oggi non riesco a spiegarmi perché una famiglia con le caratteristiche della mia, due genitori lavoratori e due figli piccolissimi, debba sostanzialmente essere esclusa dall’accesso ai servizi di base del comune nel quale risiede da sempre. Le risposte che mi sono state fornite dall’amministrazione comunale sono le seguenti: 1) sua moglie lavora sì, ma da casa, quindi può seguire comunque i figli; 2) il Comune non riconosce voucher ai nidi privati perché non può “controllare” i progetti educativi e la “qualità del servizio” nelle strutture esterne.

Sono consapevole del fatto che in questo periodo di grandi difficoltà economiche per molte famiglie, di recessione e di perdita di posti di lavoro, avere due bimbi e un lavoro è già di per sé una grande fortuna. Il punto non è questo, caro direttore. Sono le conseguenze politiche di una certa impostazione culturale a suscitare in me molti interrogativi.

Dunque io mi chiedo. È una mente “di sinistra” e al passo con la società contemporanea e con la realtà del lavoro di oggi, quella che non comprende le ragioni di una donna che è sì a casa, ma da casa deve lavorare e onorare un contratto, e non deve non fare “piccoli lavori” di taglio e cucito nei ritagli di tempo? È “di sinistra” parlare di “controllo sui progetti educativi” e non pensare invece di sostenere le iniziative di sostegno alle famiglie proposte dal privato sociale, dalle cooperative e dal settore non profit? È “di sinistra” escludere i “residenti storici” dai servizi cittadini, alimentando ingiustificate quanto spiacevoli “guerre tra poveri” e favorendo sentimenti xenofobi nelle persone culturalmente meno attrezzate? Io so che non tutte le amministrazioni comunali di sinistra operano così, e che situazioni come quella che le ho appena raccontato sono frequenti e diffuse. Ma vede direttore, il caso di questi giorni scoppiato a Milano per la carenza di posti nei nidi è un fatto eccezionale e ha giustamente trovato larga eco sulla stampa. E chi viene invece in provincia a controllare come funzionano le amministrazioni, che problemi hanno i residenti, quale rabbia monta.

Per questo credo che sia “a sinistra”, a una sinistra che oggi appare disorientata e in cerca di idee e di valori, che vada chiesta l’elaborazione di un progetto politico onesto, di attenzione alle nuove povertà, alle nuove fasce deboli, ai nuovi bisogni, che sono anche – ma non solo – di carattere economico. L’esempio del nido è in fondo un pretesto, ma credo ad alto contenuto simbolico. Le cito una frase del sindaco Pd di Cormano, Roberto Cornelli, 35 anni, rieletto col 66% dei voti e intervistato dal Corsera: «Lavoriamo per l’integrazione attraverso l’intervento nei servizi pubblici. Abbiamo mantenuto i posti nei nidi. Per tutti, italiani e stranieri. Se i posti sono pochi, si scatena la competizione tra poveri. Se invece si risponde ai bisogni della città si fa vera integrazione e senza cavalcare le paure si fa un buon servizio».

Parto da qui per chiedere: è così difficile costruire un progetto politico che parta da un’idea semplice ma forte di società, nella quale il diritto ai servizi di base viene garantito e ricercato con impegno, dedizione e spirito di servizio? Una società nella quale il rispetto delle regole conviva con l’accoglienza? Nella quale la tolleranza zero verso il degrado sociale e del vivere comune si accompagna all’integrazione degli stranieri e al sostegno di tutti i “bisognosi”? Dove il senso di responsabilità viene declinato come offerta di incentivi a chi investe sul futuro – alle imprese non si concede forse questo? – e osa scommettere sul progresso della società? Una realtà nella quale voci di consumo superflue – un certa “cultura”, una certa retorica amministrativa, una certa politica di assunzioni o della difesa di posizioni anti storiche – vengono sacrificate a favore della moltiplicazione dei servizi per i cittadini e della cura degli spazi urbani?

Estendo la sfida. È così difficile trovare un leader che sappia unire e non dividere il paese, che sappia dire “Sì, noi possiamo vivere tutti insieme e possiamo vivere meglio”, che sappia parlare alle famiglie, a tutte e non solo a quelle ai margini della statistica e della società, dicendo loro che l’Italia crede e investe su chi le attribuisce fiducia? Un leader che non spacci una “politica vecchia” vendendola come “politica per gli anziani”? È così difficile immaginare un partito che accetti l’idea – come milioni di persone sanno, pure di estrema sinistra, e come sosteneva anche Karl Marx – che l’istruzione è bene che sia gratuita, ma non necessariamente “statale”?

Che una parrocchia è una ricchezza, che la Chiesa a qualcuno potrà anche sembrare invadente ma che se si ha veramente voglia di ascoltarla non trasmette valori poi così lontani da quelli che ogni persona di buon senso può riconoscere come validi e importanti? Che le differenti sensibilità di questo paese possono vivere nel rispetto reciproco e nella volontà comune di costruire un paese vivo e non di spettri, una nazione di entusiasti della vita, non di amanti della sua fine? Un partito che dica ai suoi sindaci: da domani le vostre città devono diventare il sogno di ogni giovane e di ogni giovane coppia, con una competizione al rialzo sui servizi e sulla qualità degli spazi del vivere comune, non di promozione dei luoghi di alienazione sociale nei quali la solitudine viene esaltata e mitizzata, agevolata e cullata, e dove il comportamento che corrompe la comunità viene se possibile isolato. Città nelle quali le meravigliose famiglie di stranieri – loro sì capaci di investire ancora sulle nuove generazioni e per questo vincenti e da erigere a modello – possono condividere con noi il medesimo desiderio di progresso sociale?

Vede, caro direttore, ragionando sull’esclusione dei miei figli dalle graduatorie comunali dei nidi ho desiderato ardentemente l’emersione di un leader politico giovane ma concreto, una persona che sia portatore di un progetto di società aderente ai bisogni della società, che sia più di un prodotto mediatico spigliato, brillante e di bella presenza ma capace solo di entusiasmare platee temporanee ed elettorati più simili a spettatori di Isole e Grandi Fratelli. Un leader che non sia una banderuola al servizio degli studiosi di flussi elettorali o ostaggio di ideologie vetuste, ma che abbia la forza di fare sintesi delle aspirazioni di un Paese che è più unito e coeso di quanto non vogliate fare apparire sui giornali. Un segretario indenne dal fascino delle élite molli che si trascinano da un salotto all’altro nei centri metropolitani, un leader che sappia riconoscere i segni della decadenza di una società ed evitarne di essere contagiato. Un leader così non esiste? Io credo di sì. Perché se a monte c’è un’idea, un quadro di valori forte e condiviso, il senso di un progetto autentico, sono convinto che “a valle” vedremo presto nascere anche chi sarà capace di reggere il partito.

Caro direttore, io credo che davanti a un semaforo verde – scusi la banalità dell’esempio – tutti abbiano il diritto di passare, bianchi o neri, clandestini o regolari, e che quando scatta il rosso tutti abbiano il dovere di fermarsi. Non condivido chi in questi giorni cavalca le paure, in una deprimente e umanamente degradante competizione politica al ribasso, o ha interesse a proporsi nello scontro e nella contrapposizione perenne. Credo però che un nuovo partito possa nascere o rinascere magari decidendo che tutte le famiglie in Italia, ricche o povere che siano, dovrebbero essere aiutate fiscalmente, anche solo un pochino, e che tutte le famiglie debbano avere il diritto, se lo desiderano o ne hanno necessità ovviamente, a un posto in un asilo nido. Tutto il resto, io ne sono convinto, tutti gli altri diritti, le fortune, il consenso, persino l’accettazione di nuove frontiere della convivenza, verranno di conseguenza. Perché è dalle idee più semplici, dalla base, che si costruisce un edificio solido e duraturo. È guardando avanti, progettando spazi per bambini e non solo bocciofile, che si torna a crescere. E lo ripeto: a crescere insieme.

Caro direttore dell’Unità, non ho avuto la forza di inviare direttamente a Lei questa lettera, perché ha prevalso in me la sfiducia verso il suo universo di riferimento, la certezza che comunque queste considerazioni vi sarebbero passate sopra la testa, presi come siete nella ricerca dell’ennesimo leader mediatico e capace più di bucare lo schermo che di costruire un progetto per il paese.

Spero non me ne vorrà. Cordiali saluti,

Mauro Calloni