«Mi consenta» di dissentire il professor Piepoli. Non mi pare di percepire che il caso Scajola acceleri la strada delle urne. Non ne parla più neanche Silvio Berlusconi, neanche – intendo dire – in quegli sfoghi privati che poi finiscono sui giornali per essere puntualmente smentiti il giorno dopo.
Anzi, più di un parlamentare si fregava le mani, in questi giorni, con l’aria di chi l’aveva sfangata: chi ha interesse oggi ad andarsi a contare, tornando a votare, col rischio di certificare la crisi dei due maggiori partiti, alle prese con grandi difficoltà vecchie e nuove irrisolte? Mi pare invece che Berlusconi sia ora tutto concentrato a capire la mappa del danno derivante dalla nuova ondata di inchieste (giornalistiche, qui i giudici non c’entrano, non c’è nemmeno un avviso di garanzia) per mettere al più presto la toppa giusta.
E Gianfranco Fini viene persino buono, al Cavaliere, per frenare gli appetiti della Lega, che ora rivendica di nuovo l’Agricoltura. Se Bossi ha davvero interesse a far decantare lo scontro nel Pdl, infatti, non può pretendere che Berlusconi fornisca argomenti così forti alle polemiche del Presidente della Camera, cedendo alle pretese del Carroccio anche sugli equilibri ministeriali.
Ma non c’è stato nemmeno bisogno che parlasse Fini, è toccato alla destra “berlusconiana”, con Ignazio La Russa, far partire l’altolà, affermando che il riequilibrio nel governo già c’è. Per cui per il dopo-Scajola crescono le azioni di Paolo Romani, per il solo fatto che sarebbe la soluzione più indolore (un vice allo Sviluppo promosso ministro), in grado di tacitare tutti i pretendenti senza accontentarne alcuno. Si libererebbe inoltre un posto da viceministro e – questo sì – potrebbe diventare una merce di scambio accettabile da offrire alla Lega, e si sa che Bossi quando si libera una casella si candida a prescindere, per esser parte della trattativa, ma poi in qualche modo la “quadra” la trova sempre.
Per questo che ha meno chance Maurizio Lupi, un altro nome a cui pensa Berlusconi, ma la sua casella che occupa alla Camera, se liberata, offrirebbe minori margini di manovra con gli alleati della Lega.
Ma se le cose stanno così, se insomma c’è da andare avanti e da arginare la Lega, l’impressione è che Berlusconi e Fini, magari di malavoglia, siano costretti a parlarsi. E forse si è trovato anche il mediatore giusto. Poteva essere Gianni Alemanno, il quale – essendosi dimesso da parlamentare una volta eletto sindaco – aveva la scusa giusta per non firmare né per Fini né per la Russa e Gasparri, tenendosi le mani libere. Poteva essere anche un modo per ritagliarsi un ruolo di cerniera sul federalismo, che sarà la vera materia di scontro fra Fini e Bossi/Berlusconi.
Ma Alemanno ha scelto, alla fine, di mollare Fini, per aderire al correntone di La Russa e Gasparri. Ed ecco allora farsi strada una nuova figura, quella del senatore Andrea Augello. Da poco sottosegretario alla Presidenza, è il portavoce dei 13 senatori che sono rimasti fedeli a Fini, ma gli hanno dettato la linea: niente scissione, niente gruppi autonomi, ma propositività sui contenuti, che sono poi quelli della destra sociale.
Augello è stato il coordinatore della campagna elettorale di Alemanno e poi della Polverini, uno che ama più agire che dichiarare, insomma, e che parla con i fatti. È noto che Berlusconi non vuol vedere più Bocchino neanche in cartolina, ma stima Augello e parla anche con Silvano Moffa, che sono considerate le colombe finiane, e sono pronte a farsi anche loro una piccola corrente (“Spazio aperto”), in palese divaricazione con l’intento dirompente di “Generazione Italia”, l’iniziativa guidata da Bocchino.
Fini, dal canto suo, è molto riconoscente ad Augello per essere rimasto con lui nonostante Alemanno abbia fatto un’altra scelta. Per tornare a far parlare Fini e Berlusconi, insomma, per convincere il premier che arginare Bossi è anche un suo interesse servono le colombe. E infatti già volano… gli Augelli.