Il pratone è pieno fin dal mattino. Piove e tira un’aria che poco si addice al calendario. Di certo però il raduno di Pontida non si sospende per pioggia, un paio di stivali e un k-way basteranno. «Non siamo mica il Pdl o il Pd», dicono i militanti che da vent’anni tornano sempre qua, nella “città del giuramento”, come spiega il cartello all’ingresso della città bergamasca. E poi, «piove come nel 1990, come la prima volta, quando Bossi lanciò la sfida a Roma ladrona». Pullman, macchine e trattori, il popolo della Lega Nord intanto continua ad arrivare, anche dall’Emilia e dalla Toscana. 50.000 presenze diranno gli organizzatori, andando decisamente al di là del necessario.



Sul palco dove si alternano i dirigenti, accompagnati da una marcia trionfale, il motto manzoniano “Fratelli su libero suol”, sulla destra una statua di Alberto da Giussano di ben 10 metri.
«È la Lega più forte di sempre» urla Roberto Castelli, «ma non siamo andati in un Palazzo a festeggiare le nostre vittorie – gli fa eco Roberto Cota, neo-presidente del Piemonte – siamo ancora qua. La Lega è la gente. Oggi abbiamo due regioni, è un risultato storico». «Molto presto avremo anche la Lombardia», fa sapere Andrea Gibelli, vicepresidente lombardo, che manda un segnale al governatore Formigoni: «Smaschereremo chi oggi dice che la rivoluzione federale è in pericolo per colpa della manovra». Concetto ribadito poi dal ministro Roberto Calderoli: «Se riduciamo la spesa pubblica il federalismo si farà più in fretta. Non crediate ai falsi federalisti e a chi dice il contrario. Applicheremo il federalismo a cominciare dalla distribuzione dei sacrifici. O si fa così o la nave, ancor prima di affondare, si spezzerà».

Il Carroccio non vuol sentir parlare di rischi, per il partito l’obiettivo della rivoluzione federale è vicino, la base non deve temere. Più volte viene ricordato il risultato ottenuto con il federalismo demaniale: «I nostri laghi, i nostri fiumi, le nostre spiagge sono tornate a noi – dice Calderoli – nonostante i tempi della politica di Roma. Un risultato portato a casa lavorando giorno e notte».

 

In jeans e felpa verde con la scritta “Veneto”, annunciato dallo speaker come il “doge”, Luca Zaia, sposta l’attenzione sul tema del lavoro e punta il dito, come farà Rosi Mauro del Sin.Pa. (il sindacato padano), sulla chiusura degli stabilimenti Indesit (Merloni): «Basta con la teoria che abbiamo bisogno del lavoro degli immigrati perché i nostri cittadini non vogliono lavorare. Prima il lavoro alla nostra gente, poi a quella del resto del mondo».
 
La pioggia non si ferma, il prato è ormai un lago di fango, tocca però al ministro Maroni snocciolare con orgoglio i risultati ottenuti nella lotta alla mafia: «Otto mafiosi arrestati al giorno da due anni a questa parte, feste comandate comprese. Quindici milioni di euro al giorno levati alla mafia, 24 superlatitanti su 30 arrestati». I leghisti applaudono, chi si era riparato sotto gli stand si avvicina al palco, manca poco  al momento clou, l’intervento del segretario federale, Umberto Bossi.

«State tranquilli, fratelli – dice il Senatur accompagnato sul palco dal figlio Renzo -. Non dovete avere timore. Io so cosa volete, io so cosa vuole il Nord. Ho sentito le telefonate che arrivano alla radio di gente preoccupata perché ci avrebbero tolto la delega al federalismo. Ma cosa dite? Sono io il ministro del federalismo e assieme a me Calderoli porta avanti la macchina federalista. Aldo Brancher si occuperà di decentramento».

Poi Bossi ricorda Gianfranco Miglio e attacca i Savoia: «Tra i loro errori ci fu quello di fare Roma capitale, anche se tante altre città ne avevano i requisiti. Forse allora nessuno poteva immaginare che i poteri di Roma diventassero così forti. Oggi però il nostro è il Paese più centralista d’Europa e, forse, del mondo. Con il decentramento potremo spostare ministeri nelle città che avrebbero potuto avere la forza di diventare capitali».

 

«Potevamo scegliere fin dall’inizio di prendere i fucili – conclude Bossi -, ma abbiamo scelto la via democratica. So che in milioni sarebbero pronti a battersi, ma ho pensato che bisognasse cominciare a ragionare in modo diverso. Per dare battaglia c’è sempre tempo ed è chiaro che la lotta di libertà della Padania terminerà quando la Padania sarà davvero libera».

Prima di concludere il raduno e festeggiare sulle note di We are the champions la nazionale padana, Bossi fa un’ultima promessa agli agricoltori: «Non vi ho mai dimenticato. Fidatevi di me, non posso anticipare niente, fra qualche giorno capirete a cosa mi riferisco».