Il governo è sempre più frastagliato. Pietra dello scandalo, come ormai di consueto, il ministro Giulio Tremonti, i suoi tagli e le decisioni monocratiche assunte a prescindere dai colleghi. Il primo a non aver digerito alcune recenti operazioni è il ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani. Che, in riferimento a quanto contenuto nelle bozze della legge della stabilità vuole dire la sua. In particolare, relativamente a quel capitolo che prevede che il surplus di 1,4 miliardi ottenuto dall’asta governativa delle frequenze 4G, non sia destinato neanche in minima parte alla telecomunicazioni. Il ministro fa presente che i gruppi parlamentari di maggioranza ritengono necessario garantire, nel settore, continuità degli investimenti e che la scelta potrebbe nuocere, oltre che al comparto, all’intera Italia. Se l’asta si è riuscita ad assicurare, rispetto ai 2,6 miliardi previsti, 4 miliardi di euro, un tale successo, «è stato determinato anche e soprattutto dal fatto che le società di telecomunicazione hanno formulato le proprie offerte, nel corso della gara, nella consapevolezza normativa che una parte delle risorse sarebbe stata reinvestita nel settore Tlc», fa presente, in una nota, il ministero, sottolineando come gli investimenti nelle comunicazioni siano in grado da far volano per l’intera economia. Ancora più dura il ministro per l’Ambiente, Stefania Prestigiacomo. Che fa sapere che lei, la legge, non la voterà. «Non potrò votare né in Consiglio dei Ministri né in Parlamento una legge di stabilità che di fatto cancella il ministero dell’Ambiente», ha spiegato. In effetti, l’entità dei tagli nel suo caso è veramente imponente. In quattro anni, infatti, corrispondono a ben il 90 per cento del budget. Dai 1,3 miliardi di euro del 2008 a 120 milioni di euro nel 2012. Dato che le spese fisse, non sopprimibili del ministero corrispondono a 320 milioni, il bilancio, che nel 2008 ammontava a un miliardo e 620milioni, di ridimensionerebbe a 440 milioni di euro nel 2012. Il che mette a repentaglio, per esempio, il piano che prevede di bonificare 57 siti di interesse nazionale inquinati.



Inoltre, si eliminerebbero gli interventi relativi al dissesto geologico e quelli per l’inquinamento dal Co2. Sarebbe, infine, azzerata la gestione di 60 parchi nazionali. 

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