All’indomani della proposta di un’“alleanza costituente”, che D’Alema ha rivolto a tutte le forze d’opposizione in vista di un voto sempre più probabile, il Presidente del Consiglio ha voluto replicare ieri offrendo a Bersani un “piano bipartisan per la crescita dell’economia italiana”. Con il no del segretario del Partito Democratico giunto in serata («deve fare un passo indietro e togliere dall’imbarazzo se stesso e il Paese»), sembra davvero sfumare l’ultima possibile “tregua”, auspicata in questi giorni dal direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli.  
«Siamo ormai vicini alle elezioni – dice a IlSussidiario.net il senatore Pd Marco Follini -. La legislatura è nel pieno della sua fase discendente e l’appello di Berlusconi si rivela tardivo. Abbiamo avuto due anni per impostare una legislatura costituente, ma la maggioranza ha sempre preferito imboccare la strada opposta. Un’inversione a U come questa, dopo settimane di bombardamento continuo nei confronti dell’opposizione, non è francamente credibile».



Il Partito Democratico lavorerà quindi sull’ipotesi D’Alema, in vista di un “governo di responsabilità nazionale”?

La domanda che dobbiamo porci adesso non è come si seppellisce questa legislatura, ma come si governa la prossima. La proposta di D’Alema ha il merito di andare in questa direzione superando l’idea che serva un caravanserraglio comprendente tutti gli antagonisti di Berlusconi. D’altro canto, non accetta nemmeno l’attuale divisione in tre del campo politico, un vero e proprio regalo al Cavaliere e alla sua alleanza con Bossi.



Molti hanno letto in questo appello proprio l’ennesima chiamata alle armi all’insegna del “tutti contro Berlusconi”. Perché secondo lei non si corre più questo rischio?

Serve una fase costituente per realizzare un governo di larghe intese. L’importante è che venga spiegato agli elettori qual è l’asse su cui si vuole costruire l’alternativa. La mia idea, da diverso tempo, è che sia costituito dalla collaborazione tra riformisti e moderati. In questo modo i riformisti sarebbero al riparo dal massimalismo e i moderati non sarebbero tentati dal ritorno alla conservazione. Grazie a questa chiarezza di fondo si potrà evitare il “pasticcio all’italiana”, accorciando i tempi della transizione.



Semplificando, non c’è spazio per Nichi Vendola?

 

Non è il momento di decidere a tavolino chi è dentro e chi è fuori dal progetto. Personalmente rispetto moltissimo Vendola e lo considero un interlocutore interessante. Se però osserviamo i principali temi dell’agenda politica è innegabile che tra Sel e Pd esistano differenze cospicue. Basti pensare a due argomenti cruciali come Fiat e Afghanistan.
Per questo, a mio parere, costruire un’alleanza partendo da posizioni così distanti è un’operazione molto spericolata, mentre l’ipotesi di chiedere al governatore pugliese di entrare a far parte del progetto del Partito Democratico, come aveva fatto a suo tempo Nicola Latorre, non mi sembra praticabile.

 

La proposta D’Alema è in grado anche di sciogliere il complicato nodo delle primarie? I sostenitori di questo strumento temono che in questo modo verranno accantonate.

Non posso precisamente definirmi un fan delle primarie, anche se sono un buon metodo per scegliere il segretario. Il metodo non può però mai prescindere dalla sostanza. Dobbiamo prima costruire l’alleanza, poi decidere insieme se le primarie sono lo strumento più adeguato. In ogni caso, occorrerebbe uno spirito più laico quando si discute di questo argomento, anche se vedo ancora troppo dogmatismo.

 

Se il Partito Democratico è davvero pronto ad affrontare le elezioni anticipate c’è da aspettarsi un voto negativo sul federalismo fra qualche giorno? Maroni è stato chiaro: se non passa il decreto attuativo si va alle urne…

Penso proprio che l’opposizione voterà contro. Io stesso votai in questo modo in Aula e se, a distanza di un anno e mezzo, giungiamo tutti alla conclusione che è preferibile un’opposizione chiara e limpida piuttosto che un pasticcio di cui non si è convinti non posso che apprezzare questo passo in avanti. Forse sarà il pretesto che ci porterà al voto, ma se l’unica alternativa è pestare acqua nel mortaio per altri due anni penso che sia l’ipotesi migliore anche per il Paese.

 

Lo scandalo Ruby secondo lei rischia di illudere la sinistra che si possa uscire dalla stagione del berlusconismo attraverso la via giudiziaria?

 

Non ho mai creduto che la strada fosse quella. A maggior ragione oggi dobbiamo stare attenti a distinguere la nostra opposizione, che è tutta politica, dalle vicende giudiziarie che hanno una loro piena autonomia.

 

Sbaglia chi vede in questa vicenda l’ultimo capitolo di uno scontro tra poteri che contrappone da oltre 15 anni Berlusconi e la magistratura?

Penso che il Presidente del Consiglio non possa sottrarsi al giudizio dei pm. Il mio giudizio è severo, ma non voglio aggiungere altro al senso di smarrimento che è palpabile nel Paese. Per il resto, come diceva Manzoni, le ragioni e i torti non si possono mai separare con un taglio netto.

 

Ma dopo tutto ciò che è emerso, a suo parere, Berlusconi potrà ancora candidarsi al ruolo di premier?

Credo che Berlusconi abbia fatto il suo tempo, ma questo è un parere del tutto personale. Non tocca a me, infatti, decidere la leadership del campo avversario. In ogni caso, sono convinto che non esista ancora “un altro centrodestra”: il fatto che in quella coalizione non si levino ancora voci dissonanti da un lato è una prova di questa convinzione, dall’altro è una condanna a un destino di minoranza.