Il governo è disposto ad apporre alcune modifiche al decreto da 45 miliardi di euro approvato venerdì scorso, relativamente alla misure riguardanti Iva e pensioni. Sull’imposta sul valore aggiunto grava, in particolare, un problema: ogni punto di aumento può valere, rispettivamente, 6 o 15 miliardi se si alzano i generi al 20 o al 10%. Tuttavia, il rischio è – come ha rilevato il ministro Giulio Tremonti – che i commercianti possano approfittarsene, arrotondando per eccesso i prezzi dei beni venduti. Resta in piedi l’ipotesi di aumentare il balzello solo per il beni di lusso dal 20 al 23%, mentre nelle intenzioni di Berlusconi l’aumento (che, in ogni caso sarebbe riservato alla delega fiscale e assistenziale) servirebbe a dilazionare il contributo di solidarietà per i redditi sopra i 90mila euro. Il premier pare che non escluda neanche la patrimoniale, per non tartassare enti locali e lavoratori dipendenti. «Se c’è una cosa che mi fa soffrire maledettamente è di dover passare per l’uomo delle tasse», resta comunque la sua opinione. Altro nodo fondamentale, le pensioni. Ci potrà essere un ritocco, forse, su quelle di reversibilità, più difficile che vengano abolite quelle di anzianità come chiedano i “ribelli” (Crosetto e Martino). Qualunque sorte avrà il decreto, pare ormai inevitabile la fiducia alla Camera, per evitare infinite discussioni, rinvii e il rischio di affossamento. Sta di fatto che eventuali trattative rappresenteranno il banco di prova per la definizione del Pdl prossimo venturo.
Si cerca l’accordo, infatti, non solo con i ribelli con i quali il segretario Alfano si incontrerà il 23 settembre, ma anche – e soprattutto – con l’Udc. Le correzioni andranno nella direzione di un’apertura nei confronti del partito di Casini in vista di un del probabile ritiro di Berlusconi – nel 2013 – quando i due partiti potrebbero riunirsi sul modello del Partito popolare europeo.