«La mossa anti-crisi del governo è una scelta obbligata, che giunge però con ampio ritardo. Le riforme andavano fatte per tempo, e non si capisce perché si siano aspettati momenti così drammatici per varare dei cambiamenti». Intervistato da Ilsussidiario.net, l’editorialista del Corriere della Sera, Paolo Franchi, commenta così le iniziative dell’esecutivo per fare fronte all’assalto degli speculatori, presentate ieri nel corso di una conferenza stampa da Silvio Berlusconi, Giulio Tremonti e Gianni Letta.
Franchi, ritiene che quella del governo sia una risposta adeguata alla crisi dei mercati?
Per come le cose si sono messe negli ultimi giorni, era innanzitutto una risposta obbligata. Pochi giorni fa Berlusconi si era presentato alla Camera affermando che i fondamentali dell’economia e della finanza italiana sono a posto, che l’andamento dei mercati è ingannevole e non tiene conto della realtà. Nell’arco di tre giorni ha abbandonato quella posizione, che non poteva reggere e che era addirittura controproducente. Ci sono stati colloqui e telefonate, e Berlusconi quindi ha modificato la sua linea. Qualcuno ha detto che l’Italia è stata commissariata: forse è un’espressione è eccessiva, però di fatto le cose sono andate così. Quanto siano adeguate queste decisioni, e soprattutto quella relativa all’anticipo di un anno del pareggio di bilancio, cominceremo a vederlo già nei prossimi giorni dall’andamento dei mercati. Reso ovviamente complicatissimo dal fatto che l’Italia è uno degli anelli deboli, in un contesto in cui Europa e Usa versano nella crisi che sappiamo.
Per quali ragioni l’Italia si è dimostrata essere l’anello debole?
Per una serie di fattori molto complessi da sintetizzare. Quello che è certo è che i provvedimenti annunciati dal governo nella conferenza stampa di ieri sono positivi, ma andavano presi prima. Il centrodestra aveva promesso una rivoluzione liberale e su quella aveva impostato la campagna elettorale. Non si capisce quindi perché, disponendo fino a pochi mesi fa della maggioranza più ampia della storia repubblicana, non abbia messo in atto in tempi meno drammatici quello che era il suo tratto distintivo. Che bisogno c’era di attendere una situazione come questa per varare il cambiamento?
Forse qualcuno ha remato contro?
Di sicuro ci sono state delle forze, anche all’interno del governo, che hanno impedito di attuare il cambiamento. E del resto, la composizione dei milioni di elettori che hanno votato per il centrodestra è molto variegata. C’è tantissimo ceto medio, molto lavoro dipendente, tutto un mondo che ha una serie di garanzie dal welfare, anche con quel minimo di statalismo che si portano appresso, e che tende quindi a difenderle come parte del suo tenore di vita.
E’ l’unica contraddizione del centrodestra?
Il centrodestra è molto composito ed è difficile generalizzare. Il vero problema è che fino a ieri, la rappresentazione che Berlusconi dava non solo dell’operato del governo ma anche dello stato del Paese era di segno completamente diverso. E’ un po’ complicato aver detto, come ha fatto Tremonti, che le cose in Italia vanno sostanzialmente bene, che i conti sono in ordine, che la manovra poteva essere fatta anche in tempi lunghi, e poi chiamare tutti a un impegno di salvezza nazionale.
Per ottenere il pareggio di bilancio, occorrerà puntare sui tagli alla spesa o su maggiori tasse?
Credo che ci saranno entrambe le cose. C’è poi un grande problema: è facile enunciare la necessità di tenere assieme il massimo del rigore e le esigenze della crescita. Farlo davvero però è come passare dalla cruna di un ago. C’è però un’evidenza che è impossibile non notare: sul piano fiscale, anche nell’ipotesi in cui si introducesse la patrimoniale, lo Stato non farà altro che continuare a colpire la platea dei soliti noti. Mentre c’è una dimensione dell’evasione fiscale spaventosa e che non ha riscontro in altri Paesi europei.
Si è visto però come sia debole la volontà di tagliare gli sprechi. Basti pensare come è andata con l’abolizione delle Province…
L’abolizione delle Province andava fatta, ed è stato incredibile che il voto del Pd alla Camera abbia contribuito a non farla. L’abolizione delle Province è infatti una cosa che ha un evidente valore simbolico, e i simboli in economia e in politica contano moltissimo. Poi le Province hanno anche delle competenze, e bisognerà passarle quindi a Regioni e Comuni, che di conseguenza avranno bisogno di più fondi. Più in generale, non credo che per quanto la politica sia costosa, e spesso inutilmente costosa, tagliarla possa garantire ingenti risparmi ai conti pubblici. Anche se avrebbe un valore fondamentale perché non si può chiedere alla gente di pagare ticket e tasse, vedersi ridotti i servizi e andare in pensione più tardi, e poi non toccare i propri privilegi di casta. Non si può parlare di lacrime e sangue e poi tuffarsi in piscina e uscire bevendo champagne. Quanto sta avvenendo è la testimonianza del disastro della politica italiana, che per l’opinione pubblica costa e non produce nulla, ma serve solo alla sua autoconservazione e autoriproduzione. Ed è una percezione molto pericolosa, perché se si estende chiama in causa quel minimo di tessuto democratico che c’è nel Paese.
Raggiungere il pareggio di bilancio adottando misure impopolari, porterà inevitabilmente il centrodestra a perdere le prossime elezioni?
In generale, è molto complicato imporre sacrifici pesanti e avere anche i voti degli elettori: di solito quello che avviene è il contrario. Se si riuscisse a dare la sensazione forte che si chiamano i cittadini a uno sforzo, ma che tutti si impegnano per farlo perché la situazione è seria e potenzialmente drammatica, ottenendo qualche risultato visibile e significativo in tempi relativamente rapidi, è possibile anche che alla fine le prossime elezioni andranno in modo diverso. Magari approfittando anche del fatto che l’opposizione non sta affatto vivendo un momento splendido. Continuare a ripetere come un mantra che il governo si deve dimettere, non porterà l’opposizione molto lontano: vista la gravità della situazione, è meglio aspettare due anni ad andare al voto.
Come valuta invece le proposte di modifica della Costituzione?
Il vincolo del pareggio di bilancio nella Costituzione è una riforma che, se approvata entro l’autunno, produrrebbe degli effetti sostanziali obbligando tutti a operare di conseguenza. Il vincolo non è formale, ma costituzionale, e quindi è una novità importante. Sulla modifica dell’articolo 41 invece ho dei dubbi, in primo luogo per il fatto di trasformare la Costituzione in senso. Tra l’altro in un momento di debacle dello stesso liberismo, con una crisi economica e finanziaria rispetto alla quale le politiche liberiste hanno avuto un ruolo molto importante. Trovo quindi che la modifica dell’articolo 41 sia una scelta ideologica, e che tra l’altro ne renderebbe la formulazione molto più vaga. Affermare che «è tutto lecito tranne ciò che è espressamente vietato», ha una traduzione sulla nostra vita quotidiana e mettere in pratica questo principio mi sembra un’impresa molto ardua. Anche perché nelle normative nazionali, regionali e locali è vietato quasi tutto, e quindi questo spazio di ciò che è lecito è difficile da definire.
(Pietro Vernizzi)