Il direttore del Tg1, Augusto Minzolini, nell’editoriale di ieri ha esordito ricordando il contenuto di un articolo di «un editorialista che stimo, Pierluigi Battista», il quale «in un fondo sul Corriere della Sera dal titolo Ragionevoli Considerazioni, spiegava che per come si sono messe le cose con le intercettazioni e quant’altro, il centro destra dovrebbe immaginare un altro governo e un altro premier per non trovarsi costretto a farlo sotto il diktat della magistratura».



Minzolini, pur definendo la tesi dell’editorialista del quotidiano di via Solferino legittima e dotata di una sua ragionevolezza, non ne rimane per nulla convinto. Anzitutto perché da almeno tre anni la grande stampa chiede al premier Berlusconi di rassegnare le proprie dimissioni. Già l’anno scorso, ricorda il direttore del Tg1, qualcuno parlava di un governo presieduto dal presidente Napolitano, di un altro di larghe intese, di un esecutivo tecnico e via dicendo.



Le intercettazioni c’erano anche all’epoca. Berlusconi venne indagato e, in seguito rinviato a processo per il caso Ruby. Si trattava della ragazza marocchina, all’epoca in cui frequentava le feste di Arcore ancora minorenne. Si ipotizzò per il premier, in seno ad un presunto giro di escort il reato di prostituzione minorile. Contestualmente il direttore del Tg4 Emilio Fede, il manager dei vip Lele Mora e il consigliere della Regione Lombardia, Nicole Minetti, furono indagati, a loro volta per induzione alla prostituzione.

Minzolini ricorda anche che, allora, avvenne la diaspora dei finiani. Dopo il congresso del Pdl, in cui Fini pronunciò la fatidica frase “Che fai, mi cacci?”, e lo scandalo della casa di Montecarlo – Il Giornale, con una serie di scoop, portò alla scoperta di un’abitazione elargita da una nobile ad An che si trovava nelle disponibilità del cognato di Fini, Giancarlo Tulliani –  una trentina di deputati fedeli al presidente della Camera uscirono dalla maggioranza.



Minzolini fa presente che se neanche allora cadde il governo – quando, ancora la stampa continuava a invocarne la caduta -, non si capisce perché dovrebbe farlo ora. «Per intercettazioni che ledono pesantemente la privacy del premier, e per iniziative processuali in cui non solo non è indagato, come a Bari, ma è addirittura parte lesa, come a Napoli».

Del resto, ennesime scissioni in vista, attualmente, in seno alla maggioranza non ce ne sono. Lo stesso Battista, d’altro canto, riconosce all’attuale di aver saputo mantenere l’unità necessaria per varare una manovra di proporzioni gigantesche.

In fondo – è la conclusione del direttore del tg – cambiare il governo per non cadere sotto i colpi della magistratura vorrebbe dire, paradossalmente, fare il gioco della magistratura. «Considerazioni ragionevoli, che hanno ben poco a che fare con la democrazia».