Salvo, per soli 7 voti di scarto, ma salvo; la Camera non ha dato l’autorizzazione a procedere all’arresto di Marco Milanese, l’ex braccio destro di Giulio Tremonti, indagato nell’ambito delle presunte irregolarità legate agli appalti della Sogei, società generale di informatica controllata dal ministero dell’Economia. Le accuse, per lui, sono di Corruzione e finanziamento illecito ai partiti. L’onorevole, ieri sera, dopo il salvataggio da parte dell’Aula di Montecitorio, si è presentato di fronte alla telecamere di Porta a Porta per esporre, per la prima volta pubblicamente, la propria versione dei vatti. Nel tono delle sue parole, anzitutto, si è evinta una vena di rammarico; salvato, sì, ma solo per 7 voti, appunto. E, in ogni caso, la vicenda c’è stata, non si può cancellarla, e resta in piedi. «Oggi è stato solo un passaggio. Il processo va avanti. E io penso a quanto hanno sofferto i miei cari e a quanto soffriranno ancora», ha detto.
Poi, ha assicurato che non era per nulla irritato dell’assenza di Tremonti in Aula, giudicata da alcuni – tra cui pare il premier – immorale. Ha spiegato che, semplicemente, era in missione con Frattini, a rappresentare l’Italia nel mondo. Milanese, cosa decisamente più importante, ha voluto fare chiarezza riguarda ai rapporti tra lui e il titolare dell’Economia, in riferimento all’appartamento di via di Campo Marzio: «Non c’è nessun rapporto strano o opaco fra di noi. Mi pagava la sua parte dell’affitto in contanti, perché il suo stipendio da ministro è in contanti». In quell’abitazione sarebbero dovuti andare ad abitare Milanese con la compagna. Decisero altrimenti e, a quel punto, al titolare dell’economia in cerca di casa, il suo ex braccio destro disse: «professore se vuole…». Tremonti accettò. E, aggiunge Milanese, sui versamenti per la casa pagò regolarmente le tasse come del testo è risultato agli atti. Non solo: con il ministro, ad oggi, si darebbero ancora del lei.
Nel merito della vicenda che lo vede inquisito ha fatto presente di non aver mai avuto le mani libere sulle nomine, ma di essersi sempre limitato a prendere in esame quelle che il mondo della politica gli suggeriva. Il suo compito era quello di verificare che si trattasse di personale di livello qualificato. Questa la risposta alla domanda dal sapore retorico di Bruno Vespa che gli chiedeva se, effettivamente, è possibile che le cariche di peso vengano distribuite senza che Berlusconi, Gianni Letta a Tremonti possano dire la loro. Il deputato pidiellino ha speso alcune battute anche per i suoi accusatori, l’ex comandante della Guardia di Finanza, Cosimo D’Arrigo, affermando che le mele marce ci sono ovunque, ma il corpo dei finanzieri resta sano, costituito «da persone che rischiano la vita ogni giorno».
Ragionando, infine, sul voto della Camera si è detto convinto del fatto che in molti, all’opposizione, abbiano strumentalizzato il suo caso e ha aggiunto: «Oggi i deputati hanno fatto un voto di coscienza. Purtroppo, per Papa, no».