Non c’è pace per il Partito Democratico. I manifestanti No Tav questo pomeriggio hanno fatto irruzione nella sede nazionale, accusando il Pd di essere il “mandante” dell’opera che ha infiammato la Val di Susa. Al primo posto tra le preoccupazioni del segretario Bersani, restano però, con ogni probabilità, le dichiarazioni velenose che i rappresentanti delle diverse componenti interne si sono scambiati in questi giorni. «A mio avviso siamo andati ampiamente al di là delle schermaglie, tutto sommato naturali, che in ogni grande partito ci devono essere» dice a IlSussidiario.net l’ex direttore de l’Unità Peppino Caldarola. «Basta mettere in fila tutto quello che sta accadendo per rendersene conto. Innanzitutto due membri della segreteria, come Stefano Fassina e Matteo Orfini, hanno dato vita a una vera e propria corrente di ispirazione socialdemocratica, con l’obiettivo di spostare a sinistra il partito. Un’iniziativa vista con grande sospetto dalle altre componenti, come dimostrano le parole di Rosy Bindi di ieri sera. Dopodiché è sempre viva la dialettica tra i montiani e quelli che continuano a considerare il governo tecnico una mera parentesi. In particolare, tra gli entusiasti dell’attuale esecutivo, stiamo assistendo alla ripresa di iniziativa di Walter Veltroni che sul sostegno all’attuale premier sta costruendo un’idea nuova di Pd».



Ci sono anche altre anime in fermento? 

Direi di sì. I giovani quarantenni Civati e Serracchiani, che sembravano essersi presi un periodo sabbatico, si sono riguadagnati la scena annunciando un convegno sulla corruzione a cui parteciperà Marco Travaglio.
Matteo Renzi, il “rottamatore”, è tornato in tv a illustrare le sue tematiche. Infine, ha fatto irruzione nel quadro politico quello che io considero il vero caterpillar che può mettere in crisi l’unità del partito.



A chi si riferisce?

Michele Emiliano, promotore di una “lista civica nazionale” in compagnia del collega De Magistris. Il sindaco di Bari, lanciando una sorta di “Quarto Polo”, infatti, non solo sottopone il gruppo dirigente democratico a una critica severissima, ma teorizza ormai la fine dello schema destra-sinistra e l’esigenza di una nuova forza che superi gli antichi steccati.
È innegabile che l’insieme di tutti questi fattori fornisce un quadro decisamente allarmante per chi abbia a cuore le sorti dei democratici.

Tornando per un attimo ai “socialdemocratici”, è questa la nuova veste di tutto il gruppo dei bersaniani?



Iniziamo col dire che i protagonisti di questa iniziativa sono giovani di rito dalemiano, ovviamente legati al segretario. Il fatto è che però intendono il ruolo del Pd ampiamente esaurito e pensano che stia tornando il tempo delle socialdemocrazie, come sembra indicare il vento che potrebbe spingere verso la vittoria la sinistra in Germania e Francia.
Nella loro analisi c’è poi il timore che il Pd perda il contatto con la base popolare e con il mondo sindacalizzato, ma resto convinto del fatto che la vera novità non sta in ciò che dicono.

Cosa intende?

Le loro non sono idee nuove, una posizione simile nel Partito Democratico c’è sempre stata. Per la verità la loro visione della socialdemocrazia è un po’ scolastica, dato che nella realtà è molto più variegata e movimentata di come la raccontano.
Il fatto nuovo veramente nuovo semmai è un altro: per la prima volta a portare avanti questo progetto non sono dirigenti di secondo piano, ma collaboratori stretti di Pier Luigi Bersani, che in questa partita però non ha ancora capito che ruolo abbia.

Discutendone con IlSussidiario.net, Antonio Polito ha sottolineato un altro aspetto se vogliamo inedito: il malcelato desiderio della maggioranza Pd di liberarsi della zavorra di chi non segue la linea ufficiale. Anche secondo lei è così?

Penso che Antonio abbia ragione. Ciò che colpisce di questa fase non è la polemica stessa, ma la la logica ad excludendum che sta emergendo. Molte volte la componente liberal ha chiesto l’estromissione di Fassina, così come quando parlano i socialdemocratici è evidente che considerano i montiani una componente estranea. C’è una reciproca demonizzazione. È questo il vero salto di qualità della dialettica interna.

Potrebbe esserci il rischio di una scissione in arrivo?

Servirebbero delle motivazioni molto valide, perché il Pd ha la reale possibilità di diventare primo partito italiano.

E quali potrebbero essere?

Da un lato la sinistra interna potrebbe temere, che si vincano o meno le elezioni, di perdere il contatto con la base a vantaggio di forze come quella di Grillo o Emiliano. Dall’altro i liberal hanno paura di un’alleanza spostata a sinistra.
Il rischio che queste tensioni divengano irreversibili esiste. E devo dire che il silenzio di Bersani colpisce. Anche sulle alleanze per ora c’è il buio più completo. 

Su questo punto quali sono i dati politici a disposizione?

Una cosa appare certa: la “foto di Vasto” non esiste più. Alcuni di quei protagonisti si stanno organizzando per conto loro e sarebbero i primi a essere in imbarazzo. Per non parlare dei montiani che hanno in mente solo l’alleanza col centro di Casini. Da questa situazione emerge uno “stallo” preoccupante. Ad oggi il Partito Democratico è assolutamente privo di uno schema.

Il leader dell’Udc viene però dato leggermente più vicino al Pdl che al Pd.

In parte è vero anche se Casini è troppo furbo per sciogliere questo nodo. Non lo faceva quando aveva il 6% figuriamoci se abbia voglia di farlo adesso che, magari con l’aiuto di Passera, sogna di diventare il primo partito…

(Carlo Melato)