Per Angelino Alfano comincia la settimana più difficile della sua vita politica. La settimana del passaggio fra Scilla e Cariddi. Scilla, ovvero la decadenza del suo ormai ex mentore Berlusconi. Cariddi, ovvero la permanenza al governo senza dimostrarsi del tutto succube ai democratici, determinante per le scelte di fondo, anche con numeri assai più ridotti del fu Popolo della Libertà.
Sarà una traversata ad alto rischio, come quella dei navigatori antichi che si trovavano ad affrontare le acque infide dello Stretto di Messina. Da una parte il vicepremier dovrà dare sostanza al suo essere “diversamente berlusconiano”. Impresa tutt’altro che facile sotto il fuoco di fila delle dichiarazioni indignate degli ex compagni di partito di fronte all’annuncio che il Nuovo centro destra (Ncd) non sarà in piazza mercoledì per protestare contro il voto del Senato che dichiarerà decaduto il Cavaliere. All’accusa di tradimento Alfano ribatte che lui ha creato “un movimento politico che guarda al futuro”. Il che equivale a spargere sale sulle ferite, poiché chi continuerà a urlare viene di fatto bollato come ancorato al passato.
La scommessa di Ncd è quella di raccogliere il consenso dei berlusconiani delusi, di quanti, dirigenti e semplici elettori, non se la sentiranno di seguire il Cavaliere sulle barricate di una deriva pericolosa, come non ha mancato di rilevare il Quirinale. L’appello di Napolitano “a non dar luogo a comportamenti di protesta che fuoriescano dai limiti del rispetto delle istituzioni e di una normale, doverosa legalità” gli alfaniani lo accolgono in pieno e si augurino che paghi, anche se sanno che di solito in un clima di scontro totale e frontale Berlusconi ha sempre ricompattato i consensi intorno a sé, con buona pace degli alleati. Chiedere a Bossi che nel 2001 venne inchiodato al 3,97% informazioni in materia.
L’incognita è piuttosto se lo strappo di Forza Italia, che entro settimana passerà certamente all’opposizione del governo (e sarà opposizione durissima), non sarà talmente violento da impedire i rapporti che sin qui sono stati mantenuti fra i due partiti ex berlusconiani. Potrebbero volere la rottura delle relazioni tanto i forzisti, se prevalesse una linea di contrapposizione totale, quanto gli stessi alfaniani, in imbarazzo di fronte alle proteste, che si preannunciano clamorose.
Se dovesse sopravvivere al primo scoglio, la fragile zattera del Nuovo centro destra si troverà a fare i conti con il rischio che lo sforzo di rimanere al governo si trasformi in un boomerang di fronte a un Pd che si sentirebbe libero di imprimere una linea più marcatamente di sinistra, libero dalla pressione del continuo rischio che il Pdl stacchi la spina al governo.
I segnali venuto dalla convenzione democratica non fanno certo dormire sonni tranquilli, con le minacce di Renzi che la musica debba cambiare a partire dal giorno dopo la sua vittoria, cioè dal 9 dicembre.
Del pericolo Alfano si è reso talmente conto da aver deciso di giocare d’anticipo. La proposta del patto di un anno per realizzare cinque punti vuole proprio evitare il rischio marginalizzazione. L’agenda è limitata, ma egualmente ambiziosa: riforma della legge elettorale; eliminazione del bicameralismo perfetto; taglio di 10 miliardi di spesa improduttiva da destinare al taglio delle tasse sul lavoro; abbattimento del debito pubblico; interventi su retribuzione di produttività.
Sono temi su cui Alfano non dovrebbe faticare a trovare la sponda di Enrico Letta, come lui interessato a porre un argine alla marea renziana montante. Se il presidente del Consiglio dovesse tempestivamente raccogliere l’appello del suo vice, ci sarebbe uno spazio, fra la decadenza e le primarie democratiche dell’8 dicembre, per rilanciare l’azione dell’esecutivo, che continua a godere del pieno appoggio del Quirinale.
Dopo quella data, quando Renzi s’insedierà a Sant’Andrea delle Fratte, quella stessa operazione di consolidamento del governo diventerebbe molto più difficile, se non impossibile. Se questo breve lasso di tempo verrà sprecato, magari sfibrandosi intorno alla legge di stabilità, il sindaco di Firenze avrebbe buon gioco a dimostrare di averci visto giusto nel paventare il rischio che le larghe intese diventino solo il passatempo per superare il semestre di presidenza europeo. In quel caso non solo la navicella di Ncd, ma anche quella del governo Letta finirebbe con il fare naufragio fra i moderni Scilla e Cariddi.