“Nonostante il referendum del 1987, la responsabilità civile dei magistrati è una realtà ancora molto circoscritta anche a causa dell’attuale legge che prevede dei limiti molto importanti alla sua applicazione”. Lo afferma Carlo Federico Grosso, avvocato penalista, professore ordinario di diritto penale nell’Università di Torino. Un emendamento votato da Pd e M5S ha di fatto affossato il disegno di legge di Forza Italia che mirava a introdurre sanzioni più severe per gli errori giudiziari. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha commentato il voto affermando che “la responsabilità civile dei magistrati già c’è, con una procedura molto complicata. Abbiamo molti margini di lavoro, finché i toni saranno da derby ideologico e da campagna elettorale non ci potrà essere nessun intervento sulla giustizia, non finché ci sarà chi dice che la magistratura è un cancro”.
Professor Grosso, che cosa ne pensa del fatto che il ddl di Forza Italia sia stato affossato?
Il disegno di legge presentato da Forza Italia aggravava la posizione di responsabilità dei magistrati, eliminando alcuni limiti che aveva posto la legge attualmente in vigore. Poiché era modificata l’attuale situazione, alcune forze politiche hanno deciso di non aderire a questa impostazione.
A 27 anni dal referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, questo principio si è affermato nel nostro sistema giudiziario?
La mia impressione è che il tema della responsabilità civile dei magistrati dal 1987 a oggi sia effettivamente passato in secondo piano. E’ incontestabile che la legge in vigore sulla responsabilità civile dei magistrati abbia avuto un’applicazione molto cauta e circoscritta.
Va cambiata la legge o occorre applicarla in modo diverso?
L’attuale legge pone dei limiti molto rilevanti alla responsabilità dei magistrati. La caratteristica assolutamente peculiare del ruolo di magistrato del resto fa sì che una responsabilità incondizionata possa avere effetti controproducenti sulla loro libertà. Occorre riuscire a trovare un modo molto equilibrato per contemperare le esigenze di un’attività che sia la più attenta possibile da parte della magistratura, senza che i giudici si sentano però vincolati nella loro attività o costretti ad assumere decisioni per via delle possibili reazioni dei soggetti nei confronti dei quali prendono provvedimenti.
Perché è così difficile trovare un equilibrio tra queste due esigenze?
Da un lato non si comprende perché medici e liberi professionisti abbiano una responsabilità illimitata, mentre i magistrati debbano avere delle sacche di protezione per quanto riguarda la responsabilità civile. La peculiarità della disciplina che riguarda i magistrati è giustificata dal fatto che la loro posizione non può essere in alcun modo intimorita da rischi di pesanti sanzioni civili in caso di errore. Di fronte a questi due principi contrapposti bisognerebbe cercare il giusto equilibrio.
Secondo lei dove andrebbe posta l’asticella?
Si potrebbe affermare il principio secondo cui in ogni caso colui che è vittima di un errore giudiziario deve essere risarcito dallo Stato. A questo punto è possibile contemperare le esigenze della tutela dei magistrati con quella di una loro responsabilità, regolando in un modo peculiare il rapporto tra la responsabilità personale del magistrato e lo Stato che ha pagato i risarcimenti.
L’Unione delle Camere Penali ha criticato la bocciatura della riforma, affermando che “dimostra che è sempre presente un riflesso di protezione corporativa della magistratura all’interno di alcune forze politiche”. Come valuta questa dichiarazione?
L’Unione delle Camere Penali già in passato ha assunto una posizione favorevole a una maggiore responsabilizzazione dell’ordine giudiziario. Questa dichiarazione si inserisce quindi in una linea politica che loro seguono da tempo, anche se personalmente sarei molto più cauto nelle valutazioni.
(Pietro Vernizzi)