Cominciano ad arrivare le prime dichiarazioni, magari “pilotate”, probabilmente dirette a studiare “mosse e contromosse” di una partita che si presenta molto dura, non solo per il Partito democratico, ma per Roma. Questo con tutti i riflessi che può avere sulla politica nazionale un commissariamento prefettizio e delle elezioni anticipate nella capitale. Il caso Marino ha scoperchiato una pentola in ebollizione. Chi sembra cogliere meglio di tanti protagonisti e commentatori la vicenda che si è consumata in Campidoglio, è Stefano Fassina, uomo di sinistra coerente, che si è dimesso dal Partito democratico e che oggi conduce una sua battaglia insieme ad altri delusi, in aperto dissenso con la svolta impressa al Pd da Matteo Renzi.
Partiamo da quello che abbiamo di fronte, onorevole Fassina. Il cosiddetto “caso Marino” sembra quasi un rompicapo, una situazione ingarbugliata difficile da risolvere, soprattutto a sinistra. Che ne pensa?
Il quadro complessivo che ci troviamo davanti e che si deve affrontare è veramente complicato. Oggi posso dire che la mia valutazione è la seguente: le dimissioni erano ormai inevitabili. Lo dice uno che ha sostenuto Ignazio Marino, dalle primarie fino alla scorsa primavera.
Che cosa rimprovera al Marino di questi ultimi mesi?
Beh, alla fine ha sommato una serie impressionante di atti di discontinuità. Nella sua partenza come sindaco, Ignazio Marino è andato a intaccare diverse posizioni di rendita. Ricordo alcuni interventi positivi: sulla discarica di Malagrotta, sull’Acea, sul merito di alcuni piani urbanistici. Insomma si è comportato come un buon sindaco, che andava difeso, accompagnato in questa sua azione.
Che è successo invece?
E’ stato messo sotto pressione, attaccato da portatori di interesse ben precisi e nello stesso tempo ha avuto una parte del Pd che era diventata fredda verso la sua azione di sindaco. Questo è stato il primo momento critico della giunta presieduta da Marino.
Poi scoppia la vicenda di “Mafia capitale” e tutto è sembrato ingarbugliarsi, confondersi…
In effetti si è assistito da un lato alla presentazione di Marino come una sorta di “santino” da opporre al grande malaffare, ma dall’altra parte gli si è di fatto imposto un rimpasto di giunta. Così ci si è incamminati verso una fase di commissariamento prima morbido, poi sempre pesante. Insomma è scattato un lungo braccio di ferro che è arrivato alla conclusione di imporre delle dimissioni.
Se lei dovesse stilare una classifica di responsabilità in questa vicenda come la inquadrerebbe?
A mio parere, il primo posto di responsabilità sulla vicenda Marino spetta al Pd romano. Su questo punto non ho dubbi. Poi certamente c’è la responsabilità del Pd nazionale, di Matteo Renzi, che ha indebolito ulteriormente il sindaco. Basta pensare alle sortite del presidente del Consiglio alla televisione. Infine, ci sono anche le responsabilità di Marino, i suoi ondeggiamenti, i suoi atti di discontinuità.
In una simile situazione, la partita che si gioca sembra diventare rovente…
E’ una partita politica, ripeto, molto complicata. C’è da un lato una restaurazione in atto. Lo si capisce da molti commenti compiaciuti. E c’è un Pd in grande difficoltà. Non c’è alcun dubbio che, al di là dei sondaggi che si possono ascoltare, che possono essere credibili o meno, il Pd affronterà queste elezioni comunali a Roma giocando in difesa, per usare una metafora sportiva. E poi ci sono tante questioni di fondo da affrontare.
Intende dire che Roma deve ritrovare un suo ruolo, una sua strategia, una sua vocazione?
Chiediamoci su che cosa si reggeva Roma più di venti anni fa. La risposta è che Roma rappresentava la pubblica amministrazione, poi il settore dell’edilizia. Infine non si può dimenticare che tutti i grandi enti statali economici avevano la sede di rappresentanza, la presidenza, i consigli di amministrazione a Roma. Oggi tutto questo non c’è più.
A questo punto che cosa si deve fare?
Ma è in una circostanza di grandi cambiamenti come questi che emerge, che si forma una classe politica, una classe dirigente capace di dare una vocazione alla città. Al momento di una nuova vocazione per Roma non si vede nulla ed è difficile intravedere una classe dirigente capace di affrontare questi problemi.
(Gianluigi Da Rold)