“In Italia c’è stato e continua a esserci un uso distorto della custodia cautelare. Io penso che, nella mente di alcuni procuratori della Repubblica, una tentazione a utilizzare il carcere preventivo per spingere gli indagati a confessare vi sia stata e vi sia”. Lo afferma Carlo Federico Grosso, avvocato e professore di Diritto penale all’Università di Torino, secondo cui “la legge andrebbe applicata con maggiore rigore in quanto la libertà è un valore talmente importante che può essere limitata solo in presenza di una sentenza definitiva”. La custodia cautelare è uno degli strumenti utilizzati dalla procura di Firenze nell’inchiesta Grandi Opere. Il super-manager Ercole incalza è stato arrestato e incarcerato lunedì e sottoposto a un interrogatorio di due ore nel penitenziario di Regina Coeli, mentre Francesco Cavallo è attualmente agli arresti domiciliari.



Professore, quali sono i casi in cui è prevista la carcerazione preventiva?

La custodia cautelare è prevista per reati particolarmente gravi, quando vi siano indizi gravi e concordanti di colpevolezza, e almeno una delle seguenti esigenze di cautela assolutamente necessarie: il pericolo di inquinamento delle prove, il pericolo di fuga e la ripetizione del reato. E’ evidente che non si può applicare la custodia cautelare a una persona soltanto perché è indiziata di un reato, per quanto quest’ultimo possa essere grave. Bisogna che almeno una delle tre esigenze di cautela cui ho fatto cenno poco fa siano riscontrabili.



Di solito quale di queste esigenze è più ricorrente?

La più ricorrente, soprattutto subito dopo la scoperta di un reato, è l’inquinamento delle prove. La ragione che giustifica o che dovrebbe giustificare la custodia cautelare è che una persona inquisita ma lasciata a piede libero potrebbe contattare persone, cercare di nascondere documenti, distruggere file dal computer e così via.

Lei ritiene che nella prassi italiana ci sia un uso distorto della carcerazione preventiva?

Questo è certo. In passato, e probabilmente ancora oggi, c’è stato e continua a esserci un uso distorto della carcerazione preventiva. Spesso non vi sono né pericoli di inquinamento delle prove, perché queste ultime sono già state raccolte, né un fondato pericolo di fuga per una serie di comprovati elementi che inducono evidentemente quel soggetto a non fuggire, e non c’è neppure la possibilità a ripetere il reato perché per esempio quel soggetto è stato deposto dalla carica che aveva precedentemente. In tutti questi casi è evidente che non è ammissibile che sia emesso un provvedimento di custodia cautelare.



Nella prassi si rispettano questi criteri dettati dalla legge?

Nella prassi giudiziaria ogni tanto noi avvocati abbiamo l’impressione che si opti per la custodia cautelare nonostante manchino tutti questi requisiti. Questo non è evidentemente un fatto corretto. Ora si sta pensando a una modifica della legge per rendere più stringente la normativa della custodia cautelare, proprio per evitare possibili eccessi o abusi.

Secondo lei c’è anche la tendenza a usare la carcerazione preventiva per spingere gli indagati a confessare?

Questa è una critica che ricorre da anni. Io penso che una tentazione in questo senso nella mente di alcuni procuratori della Repubblica vi sia stata e vi sia. Ma c’è anche un’altra spinta a utilizzare la carcerazione preventiva al di fuori dei limiti strettamente stabiliti dalla legge. Noi abbiamo un sistema penale molto inefficiente dal punto di vista dell’esecutività. E’ molto difficile che un “colletto bianco” condannato, nel momento in cui a distanza di anni approda alla sentenza di condanna definitiva, vada effettivamente in carcere.

 

Per quali motivi?

Anche dove scatti il carcere è stata prevista tutta una serie di possibilità che consentono la liberazione anticipata o l’abbreviazione del tempo della pena.

 

E quindi?

Da questa situazione può venire la spinta che porta un procuratore a dire: “Un certo soggetto è fortemente indiziato per un reato grave, perché non dovrebbe scontare un certo numero di mesi di custodia cautelare?”. E’ chiaro che dal punto di vista dei principi un atteggiamento mentale di questo tipo è assolutamente sbagliato, perché non è previsto dalla legge e quindi non dovrebbe essere preso in considerazione. Anche se evidentemente qualcuno nelle Procure non la pensa così.

 

Occorre maggiore rispetto della legge?

Sì, personalmente ritengo che la legge sulla custodia cautelare dovrebbe essere applicata con estremo rigore. Fino a quando vige la presunzione di non colpevolezza, la libertà personale deve essere ristretta soltanto quando esiste rigorosamente una delle tre esigenze di cautela che rendono necessarie misure che devono essere comunque solo provvisorie. La libertà è infatti un valore talmente importante che può essere limitata solo a conti fatti, cioè in presenza di una sentenza definitiva.

 

(Pietro Vernizzi)