“La scissione l’hanno già fatta alle regionali milioni di elettori del Pd che non hanno votato. Se poi non arrivassero risposte convincenti dalla segreteria a partire dalla scuola, insieme ad altri decideremo che cosa fare. Ma resta il fatto che dovremo dare espressione a quegli interessi che non hanno trovato rappresentanza politica nel Pd”. Sono le parole di Stefano Fassina, deputato della minoranza Pd, nel giorno della direzione del partito. Nel suo intervento Renzi è partito da un’analisi del voto, respingendo l’idea che si sia trattato di una sconfitta in quanto tra il dicembre 2013 e il giugno 2015 il numero di Regioni governate dal Pd, e degli stessi cittadini governati, è comunque cresciuto.
Partiamo dal caso Mafia capitale. Ci sono stati errori da parte del Pd?
Mafia capitale è un problema che ha radici profonde e sarebbe disonesto attribuirle a Renzi. Mafia capitale è un processo degenerativo che si è prodotto nel corso degli anni e che si è accentuato durante la giunta Alemanno. Si tratta di una metastasi verso la quale il Pd ha reagito nel modo più incisivo possibile, con le dimissioni di tutti coloro che erano direttamente coinvolti, con il commissariamento del partito e con il sostegno a un sindaco come Ignazio Marino che in Campidoglio ha introdotto radicali discontinuità rispetto all’amministrazione precedente.
Non crede che da parte del Pd romano ci sia stato quantomeno un omesso controllo?
E’ facile fare queste osservazioni dopo che la pentola è stata scoperchiata. Resta il fatto che l’illegalità è più difficile da attuare quando hai un partito in forma sul territorio. Mentre quando il partito degenera in un aggregato di capi corrente che competono per posti di potere la difficoltà a controllare è maggiore.
Matteo Orfini è un capo corrente e un signore delle tessere. E’ la figura più indicata per il ruolo di commissario?
Non so se la definizione che lei dà sia corretta. Mi sembra però che su Roma, proprio per la radicalità della ricostruzione morale, politica e organizzativa da porre in atto, sia necessario coinvolgere le tantissime energie sane presenti nei circoli e negli emicicli. Mentre tende a prevalere un modello di gestione solitaria che a mio avviso è debole rispetto alle sfide che abbiamo di fronte.
Ieri si è tenuta la direzione del Pd. Di che cosa c’è più bisogno in questo momento?
Di una riflessione non consolatoria sul risultato elettorale, con un’analisi del voto che riconosca come il 31 maggio sia emerso uno strappo profondo tra una parte significativa del popolo democratico e il Pd guidato da Renzi. Uno strappo che si è prodotto a partire dalla svolta liberista sul lavoro, e si è poi approfondito con l’intervento sulla scuola.
Riferendosi alle regionali, Renzi ha detto: “Abbiamo vinto 5-2 e questo parla chiaro”. Non manca un’analisi del voto?
Sì, anche se c’è una sola analisi oggettiva da compiere. Con le scelte liberiste su scuola e lavoro, il Pd ha abbandonato la parte più significativa del suo popolo. Il problema non è solo la Liguria, in quanto abbiamo registrato il peggior risultato nella nostra storia in Veneto e Umbria. Come era già avvenuto anche in Emilia-Romagna, in Toscana abbiamo la più bassa partecipazione al voto della storia. Rispetto alle Regionali 2010 prendiamo un milione e 200mila voti in meno. Il dato che emerge è evidente: se il Pd di Renzi si sposta sulla piattaforma dei nostri avversari politici, un pezzo di popolo democratico non vota Pd.
Che cosa chiedete a Renzi per quanto riguarda la scuola?
Va stralciata la parte che riguarda l’anno scolastico che inizia a settembre. Va inoltre cancellato il potere dei presidi di chiamare e rimuovere gli insegnanti, introducendo un piano pluriennale per le assunzioni dei docenti precari, in particolare per le seconde fasce abilitate, con un percorso ad hoc per la terza fascia senza abilitazione. Va introdotta una revisione dei meccanismi di finanziamento i quali, come sono definiti adesso nella legge, ampliano lo squilibrio tra scuole dei ricchi e dei poveri.
Come va cambiata la riforma del Senato?
Il sistema elettorale mette in evidenza che il pacchetto Italicum/riforma del Senato non funziona. L’Italicum determina un corto circuito democratico, in quanto una sola forza politica pur non arrivando al 30% ottiene la maggioranza assoluta dei deputati, perlopiù composti da nominati. Va dunque rivisto l’intero pacchetto. In particolare bisogna consentire l’apparentamento al secondo turno, e va trovato un modo affinché siano i cittadini a scegliere i senatori. E’ necessario inoltre un aumento del numero dei senatori e una diminuzione del numero dei deputati, affinché vi possano essere garanzie e controbilanciamenti alla concentrazione di poteri nelle mani del premier.
Se le cose non andassero per il verso giusto, lei è disposto a seguire Civati?
Se le cose non vanno per il verso giusto, è evidente che si confermerebbe una domanda di rappresentanza politica da parte del lavoro, della scuola e di chi non arriva alla quarta settimana del mese, e ci si darebbe una risposta. Dovremo quindi capire come dare espressione a quegli interessi che non trovano rappresentanza politica nel Pd.
La soluzione sarebbe la creazione di un nuovo soggetto politico di sinistra come in Liguria?
Siamo impegnati a verificare la correzione di rotta. La scissione l’hanno già fatta milioni di elettori del Pd. Se poi nelle prossime ore non arrivassero risposte convincenti, a partire dalla scuola, insieme ad altri decideremo che cosa fare.
(Pietro Vernizzi)