La “grande” riforma costituzionale proposta dall’esecutivo Renzi è ormai giunta alla conclusione del procedimento parlamentare. Pochi si aspettavano un tale risultato. Molti immaginavano il consueto balletto di approvazioni e ritrattazioni, sino all’ennesimo fallimento. Eppure non si deve essere stupiti. Proprio la debolezza del Parlamento e l’accresciuta frantumazione del quadro partitico hanno consentito al Governo di raggiungere l’evento voluto.
Il clima in cui si è consumato l’ultimo passaggio parlamentare non è stato festoso. E’ anche mancata all’appuntamento la responsabile del Governo per le riforme costituzionali, cui senz’altro si deve gran parte di questo innegabile successo. Insomma, non si è voluto celebrare nessun rito di passaggio verso una seconda o terza repubblica (se mai la seconda vi sia effettivamente stata).
Lo stesso presidente del Consiglio, rivolgendosi “con il cuore in mano” ai deputati della maggioranza presenti nella Camera, ha pronunciato un discorso denso di riferimenti al passato. Si è soffermato sui dubbi sorti tra autorevolissimi costituenti prima ancora dell’approvazione della Costituzione. Ha ricordato alcune critiche mosse sin dagli anni Cinquanta dai padri della Repubblica a quanto era scaturito dal compromesso costituzionale. Insomma, quasi paradossalmente, questo passaggio riformatore così incisivo — dato che si interviene su un terzo degli articoli della Costituzione — sarebbe la coerente conclusione di un percorso che troverebbe le sue origini nella stessa Assemblea costituente.
Il messaggio è chiaro, per chi lo vuol intendere. Non si vuole offrire un nuovo patto costituzionale, ma la rigenerazione di quello che già diede vita alla Costituzione del 1947.
Si intende così tranquillizzare chi teme il tradimento della Costituzione. Nessun richiamo allo spirito della rottamazione, che ha animato buona parte della spinta propulsiva di questo esecutivo. Al contrario, spicca il chiaro intento di riportare sulle questioni di merito la discussione che adesso si apre con l’avvio — di fatto — della campagna referendaria.
Così, l’esplicito accenno alle “conseguenze” che saranno tratte in caso di esito negativo del referendum d’autunno, è apparso stonato. Che il referendum possa assumere nei fatti anche il carattere di un giudizio popolare sull’operato dell’esecutivo, è nell’ordine delle cose. Richiamare questo aspetto in modo che il referendum diventi una sorta di plebiscito, questo sì è davvero lontano dalla Costituzione.