In Libia così come in Sicilia le cose non sono come sembrano. Farebbero bene a convincersene Paolo Gentiloni e uno stranamente silente sull’argomento Matteo Renzi. Per decifrare la Libia può venire in aiuto la tradizione: l’incomparabile mix tra cultura berbera e cultura araba. Se, ad esempio, in libico si dirà ya jày min gheyr ‘azùma ya ga’ed min dùn fràsh, ossia “chi arriva senza essere invitato si ritroverà senza letto”, ponendo l’accento sul fatto che non si è stati invitati, in italiano in questi giorni il proverbio dovrebbe suonare come un chiaro monito a iniziative militari tanto invocate dal circuito della comunicazione quanto non richieste dai diretti interessati.
O ancora, illi thsàbhu Musa yatl’u far’ùn, “colui che si credeva Mosè si è rivelato faraone”, che invece fa riferimento alla cultura musulmana, opponendo i personaggi di Mosè, simbolo positivo, a quello del faraone, personaggio negativo nel Corano. Come non cogliere nella saggezza delle tribù del deserto l’allusione al presidente francese Macron, tanto prodigo a parole nell’auspicare collaborazione tra pari nella gestione delle vicende euro-mediterranee, delicate e dolorose , quanto sovranista e neocoloniale nel gestirne lo sviluppo?
Le cose in Libia non sono come sembrano. Infatti, il presidente francese Emmanuel Macron ha incontrato a Parigi i leader dei due principali schieramenti: Fayez al-Serraj, primo ministro del governo libico riconosciuto dall’Onu, e il generale Khalifa Haftar, capo dell’Esercito nazionale libico che controlla la Libia orientale. L’obiettivo dell’incontro, dichiara l’Eliseo, era quello di favorire la ricerca di un accordo sul futuro del Paese. Si tratta di un fatto grave: la comunità internazionale, cioè Europa e Stati Uniti, aveva riconosciuto all’Italia un ruolo ordinativo nello scacchiere libico, ma nei fatti si è concretizzata un’alternativa, quella della Francia, che ha spiazzato e messo fuori gioco il Bel Paese.
La Libia riveste un ruolo fondamentale sotto diversi aspetti: è di vitale importanza nell’ambito dell’approvvigionamento energetico, considerando la rilevanza del petrolio libico. Rappresenta poi uno snodo cruciale per la guerra al terrorismo perché gruppi internazionali di terroristi (per lo più ceceni, tunisini, algerini e afghani) si muovono nel deserto subsahariano a cavallo tra Algeria, Mali, Niger e appunto Libia, costituendo una minaccia per i paesi nordafricani ed europei. La stessa Libia sta diventando un nuovo terreno fertile per l’Isis. Inoltre, com’è noto, la vicenda libica impatta sul problema del flusso migratorio (in cui il governo Renzi ha già subìto una pesante sconfitta dopo la stipula dell’accordo tra Unione europea e Turchia).
Questa iniziativa geo-strategica della Francia ha uno scopo preciso. La Francia si accredita così come gestore della situazione euro-mediterranea, in collaborazione con Egitto e Turchia, e lascia fuori l’Italia da questo scenario. Nonostante i timori di chi paventava una Francia sovranista nel caso di vittoria alle elezioni di Marine Le Pen, oggi il vero sovranista è Macron. Oltre alla Libia, la Francia di Macron ha toccato gli interessi italiani anche in materia di immigrazione, come nel caso della politica francese al valico di Ventimiglia, che è, in pratica, una sistematica violazione di Schengen.
Macron è riuscito a riunire i due leader libici. Da questo accordo potrebbe derivare una comune collaborazione tra le due parti contro l’Isis, con tutte le conseguenze nella guerra internazionale al terrorismo. E soprattutto, se si arriverà a un accordo tra Haftar e Serraj sul flusso migratorio, questo rubinetto sarà regolato dalla Francia e per l’Italia sarebbe un enorme punto interrogativo. Dobbiamo considerare che la Francia regola già a monte l’afflusso dal deserto del Mali alla Libia perché, com’è noto, un contingente francese presidia da tempo quell’area.
In Libia le cose non sono come sembrano. Tra le dune del deserto, sotto la sabbia, si nascondono gli scorpioni.