Tutto ciò che è scritto sulla fronte, viene sempre visto: “El-maktoob ‘ala el-jabeen laazem etshoofol ‘ein”. Per capire quanto sia vero questo proverbio egiziano basterebbe fare riferimento alle dichiarazioni di uno degli uomini migliori della nostra intelligence del passato, il generale Mario Mori, a proposito del caso Regeni, ritornato al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica a causa della decisione di reinviare al Cairo il nostro ambasciatore dopo un anno di gelo diplomatico.



“Regeni era uno studente che svolgeva un lavoro assegnato da una università inglese. Ma a Londra chi ha assegnato la ricerca a Regeni in Egitto è una professoressa, Maha Mahfouz Abdel Rahman, di origine egiziana e vicina alla Fratellanza musulmana, ostile all’attuale governo. Lei voleva scandagliare la situazione egiziana, ma sono metodi dei servizi segreti inglesi che fanno svolgere certe attività a imprenditori e altre persone. Lui era inconsapevole, ma chi lo ha mandato lo ha mandato nella bocca del leone, la professoressa non poteva non saperlo”. Lo diceva già nel gennaio scorso Mario Mori, ex comandante del Ros dei carabinieri, alla Zanzara su Radio 24, e ribadiva: “E’ stato venduto ed è stato fatto ritrovare per una lotta di fazioni all’interno del governo egiziano”.



Chi ha ucciso Regeni ha ottenuto lo scopo di allontanare Roma dal Cairo. E bene ha fatto il governo italiano ad uscire da un’impasse durata troppo a lungo con il solo esito di mettere Russia, Francia e Gran Bretagna in una posizione di favore sui temi euromediterranei. Temi sui quali la collaborazione con Al Sisi rimane essenziale e che non riguardano solo il rapporto con Haftar e la complicata scacchiera libica, ma incidono anche sui delicati aspetti dell’approvvigionamento energetico. 

Se il governo italiano ha fatto degli errori, questi vanno piuttosto cercati nel fatto di aver polemizzato giustamente con il governo egiziano pretendendo verità e giustizia, ma poco o nulla con Londra, senza di fatto indagare i legami della professoressa di Giulio Regeni con la Fratellanza musulmana dell’ex presidente egiziano Morsi, che ha ancora molti referenti negli apparati dello stato. Vero è invece che le cancellerie di mezzo mondo hanno giocato con cinismo una partita sulla pelle dello sfortunato ricercatore italiano. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. L’Italia ha meno peso nello scacchiere nordafricano ed euromediterraneo. Eni ha mantenuto una diplomazia parallela salvando il rapporto con Al Sisi e acquisendo informazioni preziose sull’intricata vicenda. 



Meno convincente appare la maggioranza di governo quando dice che gli egiziani stanno collaborando. In realtà torna in Egitto il nostro ambasciatore per necessità, non certo perché giustizia è stata fatta. Ma per ottenere giustizia bisogna tenere conto di tutti i fattori. E troppi segreti sono finiti con una pietra al collo nelle acque scure e torbide del Tamigi e non in quelle limacciose del Nilo.