Lancio di agenzia Ansa del 15 settembre scorso: «L’Italia sostiene il discorso di Juncker e vede nell’idea di creare un superministro dell’economia “l’accelerazione più efficace” di molte altre proposte. Lo ha detto il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan a Tallinn. Il discorso di Juncker “è molto importante, di ampio respiro” e “sicuramente coglie nei fatti molte delle idee che l’Italia aveva già avanzato. Quindi noi lo sosteniamo”, ha detto soprattutto perché “è il momento giusto in Europa per pensare al rafforzamento dell’architettura istituzionale, visto che l’economia sta dando risultati importanti».
La dichiarazione del de cuius per parte italiana (al quale dovrebbe appunto succedere un “superministro”) merita qualche rilievo esegetico. La proposta di Juncker, a quanto consta, è ancora allo stato di sommaria indicazione politica, ma il nostro Governo — l’endorsement di Padoan non è stato infatti in alcun modo smentito dal presidente del Consiglio dei ministri — vi intravvede già il mezzo più adeguato per un (generico) complesso di altre proposte che corrisponderebbero a pensieri e/o propositi italiani (non si sa bene da chi, in quale forma e con quanto consenso formulati).
L’indicazione ministeriale invita allora alla ricerca dei possibili antecedenti patrii e, considerando l’evocazione dell’architettura istituzionale, non è solo frutto di un “riflesso condizionato” il dubbio che vi sia un sotteso riferimento al tentativo di riforma costituzionale ampiamente respinto, il 4 dicembre 2016, dalla pronuncia elettorale degli italiani (quantificabili in numero, genere ed età).
Conviene respingere subito la (apparentemente) ovvia obiezione che l’inquilino di via Venti Settembre intendesse riferirsi all’Unione europea: è certamente ovvio che sia così, ma da Bruxelles a Roma il nesso di collegamento dovrebbe passare (almeno anche) per la Costituzione.
Su queste pagine si è già avuto modo di segnalare che, tuttavia, per un ormai inveterato costume giuridico del nostro Paese, quasi tutte le scelte relative al processo di integrazione europea sono state compiute con legge ordinaria, a dispetto del loro impatto su snodi fondamentali della forma di Stato e di quella di governo (e quando si è adottata una legge costituzionale — la n. 1/2012, quella, per intenderci, che ha modificato gli essenziali disposti degli artt. 81, 97 e 119 Cost., si è avuta comunque a monte una grave violazione della Carta del 1948: perché il necessario antecedente di quella revisione consiste in un accordo internazionale in forma semplificata, pertanto non ratificato dal Parlamenti, stipulato in materia politica di contro alla norma di cui all’art. 80 Cost.).
Non ci si può quindi stupire e, anzi, c’è da attendersi che anche questa volta si vada delineando un escamotage per aggirare la questione, cruciale per la democrazia, delle forme di limitazione della sovranità popolare, che, come tutti sanno, è principio fondante del nostro ordine costituzionale.
Ancora una volta su questo quotidiano ho avuto occasione di illustrare le ragioni per le quali, a mio avviso, il fine ultimo della tentata riforma dell’anno passato, che doveva leggersi in combinato disposto con l’Italicum, consisteva nell'”accorciare la catena di comando” che lega l’Italia all’Unione europea: limitando il circuito fiduciario alla sola Camera dei deputati — la cui composizione, a legislazione elettorale vigente, sarebbe stata ipotecata dal premio di maggioranza, rinvigorendo il ruolo del cosiddetto candidato premier — si voleva agevolare la saldatura tra questo ramo egemone del Parlamento e il Governo, dando così vita a un organismo extra ordinem (il gruppo di comando formatosi attorno al presidente del Consiglio dei ministri) in grado di esercitare influenza dominante sul Governo e sulla Camera. Col risultato di depotenziare la genuina funzione degli istituti della rappresentanza politica, scongiurando il rischio di interferenza dialettica ed oppositiva con le scelte del Gabinetto.
Ma effetti analoghi possono ottenersi altrimenti, senza modificare l’organizzazione costituzionale interna. Lunga o corta che sia la filiera che innerva i rapporti tra la Commissione europea e il nostro Paese, l’incomodo delle forme costituzionali può essere aggirato incrementando le attribuzioni della prima, tanto più (e tanto meglio) se si ritenga di farlo con gli strumenti della c.d. soft law, come parrebbe evincersi dalle parole di Juncker, il quale ha infatti espressamente avvertito: Non sto chiedendo questa nuova funzione tanto per parlare. Sto chiedendo efficienza. Le funzioni di ministro dell’Economia e delle finanze dovrebbero spettare al Commissario per gli affari economici e finanziari, idealmente anche vicepresidente, che dovrebbe anche presiedere l’Eurogruppo”. Spetterebbe dunque a Moscovici, negli auspici del Presidente Juncker, incoraggiare e accompagnare “le riforme strutturali nei nostri Stati membri”.
Si esclude, quindi, che sia necessario mettere mano ai Trattati: le collettività nazionali appaiono dunque più evocate che coinvolte in scelte pur basilari per la convivenza politica. La soglia di attenzione critica deve allora essere ancor più elevata in Italia, se davvero corriamo il pericolo di perdere persino il presidio (comunque insufficiente) della legge ordinaria di ratifica e di esecuzione di un accordo modificativo delle regole di funzionamento dell’Unione europea.