La campagna elettorale appena iniziata sta assumendo toni sempre più somiglianti al “grammelot”, il linguaggio immaginario inventato nelle sue commedie da Dario Fo, quella specie di dialetto incomprensibile, composto di parole senza senso, che però – nel caso in specie, e diversamente da quel che sapeva fare il grande commediografo – non fanno ridere: fanno piangere.
Il dietrofront di Silvio Berlusconi sul Jobs Act, andato in scena ieri, fa pensare veramente a una “piece” di Feydeau. “Se vinciamo le elezioni aboliremo il Jobs Act, perché è stata un’iniezione che ha dato una provvisoria spinta ma solo ai contratti a termine. Otto su dieci sono stati contratti a termine”, ha dichiarato ieri mattina il Cavaliere a Radio Anch’io, e a molti è sembrato di star sentendo Stefano Fassina o Susanna Camusso. Per carità, per essere un “destro”, Berlusconi ha sempre dimostrato di avere una specie di “anima sociale” attenta alle ragioni del lavoro; ma bollare così d’infamia il baluardo, l’unico ormai, dietro il quale si trincera Matteo Renzi per difendere qualcosa del suo fallimentare triennio a palazzo Chigi è stato francamente stupefacente, da parte sua. Anche perché il Jobs Act – checché ne abbia detto e ne dica il suo ideatore fiorentino – è stato una riforma schiettamente di destra, che ha abolito l’obbligo di reintegro dei lavoratori licenziati illecitamente, ha abolito dunque l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ha di fatto legittimato il precariato (che c’è sempre stato, ma oggi non è più un disonore) e non è servito ad altro che a gonfiare le statistiche: perché quel po’ di rialzo strutturale dell’occupazione che l’Italia può contabilizzare oggi lo si deve alla ripresa economica internazionale e non certo al Jobs Act, se non nella parte relativa agli incentivi, che stanno finendo ma – grazie! – sono stati transitoriamente utili.
Dunque Berlusconi ha sparato a zero contro il Jobs Act. Ma qualcuno, dei tanti – troppi – che gli ronzano attorno nella cosiddetta cabina di regia (ubriaca) del centrodestra gli ha tirato la giacca subito dopo. Ma come hai fatto, presidente, a parlare da comunista? E infatti la segreteria del presidente di Forza Italia ha diramato poche ore dopo una rettifica. Farfugliante, a trattarla benevolmente: secondo la nota, Berlusconi si sarebbe “limitato a constatare che il Jobs Act è sostanzialmente fallito, perché non ha indotto le imprese a creare occupazione stabile, ma quasi esclusivamente lavoro precario. In ogni caso, è una norma che sta esaurendo i suoi effetti. Quando saremo al governo – precisa la nota – non torneremo naturalmente al regime precedente, ma introdurremo strumenti più efficaci del Jobs Act per correggerne gli effetti distorsivi e incentivare le imprese a creare lavoro stabile”. Finché è stato poco dopo lo stesso Berlusconi, questa volta sulle frequenze di Radio 105, a essere ancora più preciso: “Si possono tenere le cose come sono, l’abolizione del Jobs Act è stata una cosa interna alla coalizione che credo sia superata”.
Insomma, l’unica conclusione che se ne può trarre è che in materia Berlusconi, personalmente, non sa nulla di nulla e che i suoi fanno confusione. E ancora, che sapendo perfettamente che sia lui che Renzi pescano, oggi, nello stesso bacino di consenso dei benpensanti preoccupati all’idea di un governo grillino guidato dal re dei congiuntivi Luigi Di Maio, assecondano la pancia di quest’elettorato che non è certo di sinistra (se fosse di sinistra, come potrebbe mai votare Renzi?) e quindi dovrà scegliere tra il Berlusconi originale, che però ha 81 anni e non è eleggibile, e il suo clone pseudo-sinistro, appunto Renzi, che però di anni ne ha 43, scoppia di salute, e quanto a millanterie e bufale non solo non è secondo all’uomo di Arcore, ma forse lo batte.
Dunque Berlusconi sa oggi essere Dottor Jeckyll, quando deve blandire il suo elettorato tradizionale, promettendogli la flat-tax, o corteggiare quello sterminato degli anziani, promettendo l’abolizione della legge Fornero e l’innalzamento della pensione minima a 1.000 euro; ma sa essere anche Mister Hyde, quando si sente comunista e critica il Jobs Act, sbigottendo i suoi colleghi imprenditori, ben lieti di essere pagati dallo Stato per assumere a tempo e di poter licenziare i fannulloni, e vivaddio, ma volendo anche gli antipatici, o quelli che la pensano a modo loro o, se belle, le dipendenti che hanno detto no, tanto ormai valla a fare una causa per il reintegro: se proprio all’imprenditore va male trova un giudice che dirà “Su, mettetevi d’accordo”.