L’ennesima morte nel Mediterraneo è già un nuovo caso politico. Ieri la Ong Open Arms ha accusato la Guardia costiera libica di avere abbandonato una donna in mare e di aver lasciato morire un’altra donna e un bambino, tutti e tre rinvenuti sui rottami dello stesso barcone. Graziano Delrio (Pd) ha accusato il ministro Salvini: “quando si lasciano le persone in balia delle onde per ciniche trattative politiche, quando si nega l’ingresso nei porti italiani si sta dicendo di lasciare gli esseri umani in mare”. Ma il Viminale ha annunciato “la versione di osservatori terzi che smentiscono la notizia” (e le accuse) di Open Arms. Per Mario Sechi, fondatore e direttore di List, già direttore del Tempo, il governo non si spaccherà sotto l’urto dell’emergenza migratoria, semmai rischia di più sul terreno dell’economia. Ma anche in tema di riforme potrebbe volgere a suo vantaggio alcuni passi falsi, come quello del “decreto dignità”. “Siamo davanti a una Grosse Koalition all’italiana — spiega Sechi — che ha la maggioranza larga del paese dalla sua parte. E poi è un esperimento, con tutti i fattori di novità che questo comporta e che nel nostro caso lo rafforzano”.
Sarebbe a dire?
Se ci fermiamo al risultato elettorale la forza maggiore è M5s e junior partner la Lega, ma nella realtà le due forze sono equivalenti. Il risultato è un mix politico molto equilibrato. Inoltre gli elettorati sono in gran parte coincidenti, non dimentichiamolo. E’ questo che ha portato le due forze ad allearsi. E sono gli elettorati a guidare i leader.
Lei un anno fa aveva previsto l’incontro di M5s e Lega. E aveva parlato di “governo Frankenstein”. Basterà un contratto a cementare i due partiti?
Li vincola ad un programma da completare. Ma come ogni contratto, è anche una gabbia. I programmi vanno adattati alla realtà e alla politica parlamentare. E non mi sorprenderebbe se cammin facendo lo aggiornassero al contesto politico, che cambierà.
Ci avviciniamo al punto. Quanto durerà?
La durata dipende sempre da come le due forze nel governo di coalizione riescono a parlarsi. M5s e Lega dicono che vanno d’accordo e probabilmente è anche così, però i punti di frizione ci sono. Sul tema migranti per esempio c’è una differente visione del problema.
Già all’interno di M5s ci sono due visioni differenti.
Sì, ma meno di quello che si potrebbe credere. Quelli che la pensano come Fico sono minoritari, esprimono un pezzo di elettorato di sinistra che ha votato M5s mantenendo il suo orientamento di provenienza.
Il governo Conte potrebbe rompersi sotto l’urto del problema migratorio?
Non credo. Conte viene visto come un punto debole, una figura compromissoria, in realtà è una perfetta stanza di compensazione dei problemi del governo.
Ne è sicuro?
Sono i fatti a dimostrarlo. La prima volta in occasione dello sbarco a Trapani della nave Diciotti. In quel caso è stato Salvini a sbagliare, pretendendo che gli autori del tumulto a bordo del Vos Thalassa scendessero in manette. Ha agito da leader politico, non da ministro dell’Interno. E ha suscitato la reazione dei cattolici presenti nel governo, per non dire al Quirinale. Il capo dello Stato ha esercitato la sua moral suasion tramite Conte. Qui Salvini ha perso, pur mantenendo politicamente il punto.
E il secondo caso?
E’ stato l’incidente con Malta, con il prevedibile scontro derivante dalla chiusura dei porti. La linea dura ha aperto un problema politico. Anche in questo caso è intervenuto Conte: ha agito di concerto con Salvini, Toninelli e Di Maio, facendo da punto di equilibrio, e ha coinvolto Moavero, scrivendo ai governi europei e a Bruxelles. Risultato: ha dato corpo a quanto stabilito nell’ultimo Consiglio europeo, arrivando alla redistribuzione dei migranti.
Tutto questo cosa significa?
Vuol dire che nell’architettura della coalizione Conte è il punto di equilibrio della diarchia Salvini-Di Maio. E’ il vertice basso di un triangolo, quando ci sono le crisi che i due non riescono a ricomporre entra in azione l’avvocato Conte e diviene il vertice più alto dello schema.
Come lui, Tria e Moavero sembrerebbero estranee al movimentismo di Salvini e Di Maio. Sono il volto dialogante del governo?
No, sono qualcosa di più. Ma aggiungerei Savona. Sono persone esperte, equilibrate. Tria vuole mantenere i conti a posto, trovare soluzioni contabili e politiche con mezzi tradizionali. E’ pragmatico, accomodante quando serve.
E Moavero? Chi avrebbe mai detto di vedere Salvini al governo con un ministro di Monti?
Moavero, prima che ex ministro di Monti, è uomo delle istituzioni, con in più una grande capacità di leggere il quadro politico. La sua arma è il negoziato. Per la prima volta abbiamo un governo che intende negoziare sul serio con l’Europa e il metodo di Moavero avrà un ruolo fondamentale.
Arriviamo a Savona.
Due settimane fa Savona ha presieduto il Comitato interministeriale per gli Affari europei, dove ha disegnato il quadro complessivo di strategia europea di questo governo. C’erano anche Salvini e Di Maio e sono stati d’accordo su tutto. Savona, Tria e Moavero non hanno nulla a che fare dal punto di vista della storia politica con M5s e Lega, ma sono funzionali al disegno politico di entrambi. Anzi, sono il motore del governo. Insieme al quarto uomo, che è Giorgetti.
Questa costruzione è opera sua?
Sì e no. E’ anche frutto un po’ del caso, come sempre accade in politica.
Però Mattarella aveva messo il veto su Savona.
Una questione più che risolta sul piano personale, tra i due c’è stato un chiarimento. Bisognava trovare un punto di equilibrio per portare Savona al governo e far funzionare il Mef. Savona ha fatto il nome di Tria e Moavero si è inserito nel gioco. Oggi i quattro costituiscono un poker, levare uno di loro vuol dire avere un problema nella macchina del governo.
Non è una visione esagerata?
No, sono più importanti loro di qualsiasi altro ministro. Hanno esperienza, senso delle istituzioni, conoscenza degli arcana imperii, tutte qualità che gli altri non hanno, compresi ovviamente i due vicepremier.
Prima si parlava della durata del governo.
Ripeto: dipende se lavorano parlandosi oppure no. In alcuni casi lavorano a compartimenti stagni, come è stato con il “decreto dignità”. E’ scritto oggettivamente male, senza tener conti di alcuni aspetti essenziali dell’economia italiana. Lo ha sfornato il team a 5 Stelle del ministero del Lavoro senza averlo pienamente condiviso con la Lega, e la prova è che verranno reintrodotti i voucher. In agricoltura sono fondamentali, ed è incredibile che in M5s non se se siano accorti con tutti i voti che hanno preso al Sud.
Altro che complotto.
Macché. Un autogol. Paliamoci chiaro: Di Maio e i suoi non si sono letti il provvedimento nella sua interezza.
Se non è l’immigrazione, qual è il vero iceberg del governo?
La manovra. Sull’immigrazione i soldi in ballo sono quelli che ci sono a bilancio. E io sono l’ultimo che si sogna di ridurre la politica all’economia.
E questo nonostante l’impatto emotivo generato dai naufragi e dalle morti in mare?
Sì. In ottobre e novembre ci sarà da decidere quali sono le priorità. E’ evidente che Tria non vuole avventure, e non le farà. I dati del Fmi parlano chiaro, la nostra crescita sarà la metà di quella dell’eurozona: l’1,2% contro il 2,2 nel 2018, l’1% contro il l’1,9 nel 2019. Se proiettiamo questo rallentamento dell’economia europea nel quadro dei conti pubblici e nel programma di governo è difficile che si possano fare quest’anno la flat tax o il reddito di cittadinanza.
E allora? Addio consenso.
Non si potranno fare flat tax e reddito di cittadinanza nella loro interezza, ma un loro antipasto sì. Non una riforma completa, ma pezzi di riforma. Non sarebbe un male.
E perché?
Perché così il governo potrà sperimentare i provvedimenti e vedere se funzionano.
Cosa farà Tria?
In questo caso, se si potrà cominciare in maniera parziale, controllata e virtuosa, troverà i soldi, li prenderà da capitoli di spesa che sono destinati ad altro.
In politica bisogna però contemplare tutti gli scenari possibili. Voto compreso. Lo fanno sicuramente anche Salvini e Di Maio.
Vero. Ma guardiamo la realtà delle cose. Ci sono due elementi fortemente destabilizzanti in vista: a ottobre si vota in Baviera, e per la Germania potrebbe essere un problema, soprattutto se la Csu perde voti, cosa probabile. L’altro fatto saliente sono le elezioni di mid term negli Usa. Di solito i presidenti in carica le perdono, ma Trump è uno strano animale politico. E in questi mesi l’economia americana ha creato in media 215mila posti di lavoro netti al mese, la disoccupazione è al 4%, il livello più basso degli ultimi 20 anni.
Senza contare le elezioni europee di maggio 2019.
Sono l’altro elemento chiave. Saranno un big-bang, il parlamento europeo potrebbe cambiare di segno, i gruppi di Pse e Ppe essere ridimensionati.
Con quali effetti per le forze di governo?
A mio avviso l’esito del voto europeo farà da volano al governo, perché con il riequilibrio dei rapporti di forza le politiche europee subiranno non un cambiamento radicale, ma un aggiustamento sì. La vera dichiarazione programmatica l’ha fatta Giorgetti a Pontida, quando ha detto che l’obiettivo della Lega adesso è di cambiare il segno a Bruxelles. In questo quadro è difficile vedere una crisi nel governo.
Se M5s rompesse con la Lega, il Pd andrebbe al governo di corsa.
Forse, ma un Pd in condizioni nettamente peggiori di quelle in cui si presentava dopo il 4 marzo. Il Pd oggi non è un’alternativa di governo. E Berlusconi è argomento per gli storici. No, il governo Frankenstein non ha alternative.
Nemmeno il voto?
In teoria sì, ma le urne probabilmente confermerebbero le forze attuali come le uniche in campo. In realtà uno scenari alternativo c’è, ma è molto poco simpatico.
Quale?
Un improvviso raffreddamento dell’economia. Già oggi i dati sulla fiducia delle imprese tedesche sono disastrosi. Se la Germania entrasse in crisi, tutta l’Europa sarebbe trascinata nella crisi tedesca e anche l’Italia sarebbe nei guai. Il governo, dovendo mantenere i saldi di bilancio, non riuscirebbe ad arginare la crisi e allora sì l’elettorato potrebbe dire che M5s e Lega non stanno facendo nulla. La complessità della situazione sfuggirebbe certamente alla comprensione della gente, e a quel punto potrebbe esserci un’emorragia di consensi.
Quindi Salvini e Di Maio si trovano paradossalmente a tifare per l’architrave europeo esistente.
Sì. Non possono stare con i paesi di Visegrád, devono dialogare con il blocco dell’Europa più forte, Germania innanzitutto, poi con l’Austria perché è presidente di turno dell’Ue, e tentar di trovare una sponda nella Spagna socialista. E questo è solo l’abbozzo di una politica estera che dopo il summit di Helsinki tra Putin e Trump — c’è in gioco l’Europa sul piano militare e economico — va pensata con la massima lungimiranza e prudenza. Trump e Putin fanno il loro gioco, mi piacerebbe capire qual è il nostro. Per ora non c’è.
(Federico Ferraù)