Conclusa la campagna elettorale per le elezioni amministrative, si profila la campagna referendaria per l’abrogazione di diverse norme del nostro ordinamento relative alla privatizzazione delle reti di distribuzione dell’acqua, all’uso pacifico dell’energia nucleare e al legittimo impedimento. Questo referendum impone alcune riflessioni sull’istituto stesso e sui contenuti specifici.



In primo luogo si nota una grande diversificazione nei diversi schieramenti politici, con prese di posizione differenziate e scelte di alcuni partiti di lasciare “libertà di coscienza”. In generale, tuttavia, si tende ad associare ai risultati referendari una sorta di plebiscito antigovernativo, soprattutto dopo che la Corte di Cassazione ha sconfessato come inadatta ad evitare il referendum la moratoria stabilita dal Governo. Il che mostra l’ennesima modifica dell’istituto referendario: pensato dai costituenti come  cauta e residuale espressione di democrazia diretta volta a correggere singole scelte parlamentari (così qualificando, sulla scorta dei suggerimenti di Einaudi, la democrazia diretta come correttivo marginale alla democrazia rappresentativa), esso si è trasformato negli anni Ottanta in uno strumento di  lotta politica a disposizione di minoranze per affermare la loro incidenza presso l’opinione pubblica, al di là della loro consistenza politica effettiva.



Da questo abbiamo imparato a nostre spese che spesso conta di più la democrazia gridata rispetto alla democrazia dei numeri e delle maggioranze. Il referendum è stato così snaturato, strumentalizzato e banalizzato, fino ad essere disciolto nella palude dell’astensionismo. Infatti, se non vanno a votare almeno la metà degli aventi diritto, il referendum non produce effetti – e questo è ormai successo sempre nelle ultime consultazioni. Al di là dei costi reali, una campagna che poi non porta a risultati finisce per essere l’ennesimo teatrino cui il Paese è costretto ad assistere sempre più disinteressato e scettico. Sempre a riguardo dell’istituto referendario in quanto tale, non va dimenticato che agli inizi degli anni Novanta, un referendum, quello elettorale, ha contribuito in modo sostanziale a determinare il cambiamento del sistema politico ed ha visto Parlamento e popolo non più antagonisti ma alleati in vista di un cambiamento epocale. L’abisso tra le intenzioni dei costituenti e l’uso concreto del referendum si è, se possibile, allargato.

Attenzione, dunque: il referendum è un camaleonte, nessuno sa con quale volto si presenta e quali sono i suoi effetti reali, al di là dell’effetto tecnico di abrogare o meno specifiche norme di legge, che è spesso solo un pretesto per perseguire altri scopi.

Non a caso i Padri costituenti hanno fatto una scelta di grande restrizione rispetto alle proposte molto più ampie. Non a caso alcune delle grandi democrazie occidentali come la Germania non lo hanno messo in Costituzione, memori proprio dell’uso pretestuoso e non tecnico ma plebiscitario  che ne può essere fatto e coscienti del fatto che per le scelte politiche vi sono in democrazia i momenti elettorali. Ancora di più: in Svizzera, la patria della democrazia diretta e del referendum (senza quorum di partecipazione), si assiste ad un uso ancora più distorto di questo pur nobile istituto, usato dai movimenti antisistema per imporre a tutti, pur con esigue minoranze di partecipazione, scelte incostituzionali e xenofobe (tipo l’espulsione senza processo degli immigrati irregolari o di coloro che “non pagano i contributi previdenziali”).

In merito ai quesiti specifici si nota una grande eterogeneità degli stessi, con parole d’ordine scelte per fare da traino le une con le altre. Basti pensare alle tre parole chiave della campagna: “Liberalizzazione”, “Nucleare”, “Giustizia”. La parola liberalizzazione è quanto mai utile per evocare scenari drammatici da mercato selvaggio con i privati ricchi che bevono gratis l’acqua dei poveri. E’ vero: l’acqua è un bene di tutti e nessuno l’ha messo in dubbio. Ma gli acquedotti che perdono spesso più del 50% dell’acqua indotta? Qui la questione è più complessa e la scelta è tra il lasciare tutto in mano ad una gestione pubblica fallimentare o introdurre elementi di concorrenza tramite gare, come chiede tra l’altro l’Europa, per assegnare la gestione degli acquedotti a privati, vincolandoli a fare investimenti per migliorare la qualità della rete. Una volta abrogato il presente regime, che cosa si propone oltre un generico “lavoreremo per migliorare il sistema pubblico”?

E poi la questione del nucleare: Lo stesso governo e alcuni governi europei hanno optato uno, il nostro, per una moratoria, altri per un lento disimpegno (in Germania la chiusura è prevista per il 2022) alla ricerca di vie autenticamente alternative. E’ pertanto importante chiedersi se bloccare le centrali sia sufficiente a mettere in atto nel Paese una vera e propria politica energetica. Anche su questo le risposte, non contenti della moratoria, sono piuttosto enigmatiche.

Infine, la Giustizia: problema che attanaglia da sempre il nostro sistema politico, una giustizia non ancora riformata se non per singoli aspetti e che si presenta al referendum sotto forma di abrogazione del legittimo impedimento, norma che non piace a nessuno ma che, vista nel complesso del momento politico attuale, potrebbe almeno disinnescare il circolo vizioso che avvelena i rapporti tra politica e magistratura. Basta a questo scopo affermare che “siamo tutti eguali davanti alla legge” quando questo è palesemente incoerente con il dettato costituzionale che riserva ai Parlamentari un regime processuale comunque differenziato al fine di tutelare l’integrità della democrazia parlamentare?

Come si vede, anche per i contenuti, occorre guardare al referendum che ci aspetta con cautela, con estrema prudenza.

 

– Ci sarà chi voterà SI pensando che sia giunto il momento di dare l’ennesima spallata al governo e, soprattutto, al presidente del consiglio. Ci sarà che voterà SI, convinto dei contenuti nel loro insieme, ma visto la complessità tecnica non sarà certo la maggioranza dei simpatizzanti. Ci sarà chi punterà sull’astensione per far fallire un disegno che è essenzialmente politico, una astensione con risultato probabile ma non certa, vista anche la pressione mediatica  ad andare al voto. Ci sarà chi voterà NO, ma con la certezza quasi assoluta di contribuire ad aumentare il quorum, senza reale probabilità di incidere realmente nel merito, perché la grande maggioranza dei votanti andrà a votare mettendo la propria croce sul SI.

 

Lo status quo è sempre insoddisfacente e va sempre migliorato. Ma è ragionevole abolire senza presentare una alternativa in temi cosi importanti e complessi sia ecologicamente sia economicamente come l’energia e l’acqua? In ogni caso su temi così decisivi per il futuro del Paese il referendum – qualunque sia l’esito – non potrà sostituire un serio intervento legislativo che, attuato nel dialogo e nel confronto democratico, può portare risposte più approfondite, più meditate, più condivise, più durature e utili al bene comune.