La delega fiscale 2023 menziona una possibile “graduale riduzione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef)”. L’obiettivo di revisione degli scaglioni e delle aliquote per il calcolo delle imposte sul reddito delle persone fisiche potrebbe essere raggiunto già dalla prossima finanziaria. Le ipotesi circolate includono l’accorpamento dei primi due scaglioni estendendo fino a 28mila euro il reddito soggetto a un’aliquota del 23%. Rimarrebbero invece invariate gli ultimi due scaglioni: 35% tra 28mila euro e 50mila euro e 43% sopra 50mila euro. La revisione sarebbe un passo verso un’aliquota impositiva unica. La discussione nei prossimi mesi si concentrerà sulle risorse necessarie per attuare questa revisione in uno scenario di interessi sulle obbligazioni statali in salita ed esigenza di contenere la spesa pubblica.



Non può mancare in questa discussione una semplice constatazione. L’inflazione ha un effetto sugli scaglioni di reddito. Le rinegoziazioni salariali, anche quando comportano diminuzioni dei redditi reali, la mobilità sul mercato del lavoro e i salari offerti per i primi impieghi che recepiscono l’aumento dei prezzi spostano i redditi dei lavoratori verso le aliquote più alte. I 50mila euro del 2023 non sono quelli del 2021 e tanto più sarà alta l’inflazione futura, tanto più invecchieranno velocemente gli scaglioni per il calcolo delle imposte. In assenza di una revisione degli scaglioni i redditi dei lavoratori si spostano verso le aliquote più alte anche in assenza di un reale aumento del potere d’acquisto; un numero crescente di lavoratori e di redditi verranno tassati con le aliquote destinate ai “ricchi” anche se in realtà non lo sono minimamente.



Questo effetto nascosto dell’inflazione è tanto vero e conosciuto che altri sistemi, per esempio quello americano, adeguano gli scaglioni all’inflazione. Diversamente il risultato è quello di un aumento dell’imposizione fiscale in assenza di un qualsiasi aumento dei redditi reali. Questo problema finora non si era mai posto perché l’inflazione è stata per decenni minima. Dal 1997 al 2021 l’inflazione italiana è stata sopra il 3% solo in due anni (2008 e 2012) e in due occasioni (2016 e 2020) è stata negativa. Gli scaglioni per il calcolo delle imposte sono invecchiati molto bene senza che fossero particolarmente visibili i segni dell’inflazione. Negli ultimi due anni la situazione si è ribaltata e l’ipotesi che si sia definitivamente usciti da uno scenario di bassa inflazione ormai è di scuola.



I redditi reali degli italiani rischiano di comprimersi due volte; la prima perché le revisioni dei redditi non recepiscono o lo fanno solo parzialmente l’aumento dei prezzi, la seconda perché l’aliquota fiscale aumenta. Limitare la revisione solo ai primi due scaglioni, come nelle ipotesi uscite in questi giorni, rischia di non risolvere il problema di fondo e di spostare una crescente fetta dei redditi dal basso verso l’alto.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI