Casa dell’Architettura. “Avanti popolo” è la mostra sul Pci. Un pomeriggio pieno di vecchi compagni e giovani dal futuro incerto e radioso. Per un po’ la suggestiva teoria di documenti e supporti multimediali sparisce. Ci si immerge in un clima di sezione, di quelle aspre, umide, dove potevi farti venire un tumore a forza di sigarette, ma fino alle due di notte dovevi rimanere lì, a spiegare a quel testone frazionista che la “scala mobile” proprio non poteva andare. E guai a non avere l’ultima parola Si parla di un tema antico, ma tanto attuale da essere al centro del dibattito politico delle scorse settimane. Un tema che solo a nominarlo evoca lotte tenaci, scontri ancestrali, un passato che strappa un malinconico sorriso e un reverente rispetto: l’unità sindacale.
La difficoltà delle diverse sigle sindacali di coordinare le proprie politiche e le proprie richieste è una problematica che le riguarda da sempre. La motivazione è il loro legame con i partiti ed in particolare, data la sede, il rapporto tra il Pci e la Cgil.
Aspetto potenzialmente spinoso, ma dipanato brillantemente da Carlo Ghezzi che, durante una veloce riproposizione della storia sindacale nazionale, ha rilevato nel primato della politica su tutti gli altri ambiti il motivo della tensione : «I massimi dirigenti del Pci hanno sempre coltivato una cultura che privilegiasse il primato del partito politico», il Pci «era il partito dei lavoratori e pertanto, doveva occuparsi di tutti i problemi relativi al mondo del lavoro». Una posizione, secondo Ghezzi, che non si è andata affievolendo successivamente, ma che ha trovato anche nei successori, quali Rifondazione Comunista, il Pds e poi il Pd, attori incapaci di trovare la vera misura del ruolo e delle esigenze delle forze sindacali.
Il mancato raggiungimento dell’unità sindacale, nonostante la forte spinta unitaria negli anni tra il 69 e il 71, è stato per Giorgio Benvenuto, Segretario Generale della Uil dal 1976 al 1992, una «grandissima occasione perduta, sostituita dalla Federazione unitaria, che doveva rappresentare un ponte verso l’unità ma si è dimostrato un ponte che non portava a nulla». Una nota di amarezza nella voce di chi aveva visto nell’autunno caldo e nel progressivo radicamento nei posti di lavoro, un «momento di forte rinnovamento e di grande unità del sindacato» Amarezza, ma senza disincanto invece, quella espressa da Franco Marini Segretario Generale della Cisl dal 1985 al 1991. «I metalmeccanici accesero il fiammifero per la spinta positiva, ma l’unità sindacale non si realizzò perché non c’erano le condizioni affinché questa svolta avvenisse.» Secondo Marini infatti «Il problema era squisitamente politico e non mi scandalizzo per le posizioni del Pci nei confronti del sindacato. La primazia della politica la si sentiva anche all’interno della Dc». L’unico possibilità per l’ex Segretario Generale della Cisl sarebbe stata che «ognuno camminasse per la propria strada, ma la politica non la si poteva cacciare». Il ruolo fondamentale avuto dai sindacati nello sviluppo del paese e la capacità di lavorare in maniera sinergica non è quindi stata sufficiente, nella sua ottica, a superare «le troppe divisioni politiche esistenti in Italia».
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Non dello stesso avviso invece Cesare Damiano, delegato della Fiom Cgil dal 1970, che ricorda come in quegli anni la sua, come quella di molti altri, fosse una «doppia militanza e il sindacato e il partito rappresentassero due facce della stessa medaglia, due realtà in perfetta sovrapposizione». Nonostante questa capacità di convivere delle due realtà, l’unità sindacale si era dimostrata inattuabile e, come ha voluto ricordare Damiano, «un sogno che ho fortemente coltivato non si è potuto realizzare perché, un sindacato che voleva essere un soggetto politico poteva gettare ombra sulla capacità dei partiti di occuparsi degli affari del mondo del lavoro».
Un sogno cosi sentito non può svanire facilmente neanche oggi ma, a questo proposito, la sua opinione è categorica «oggi non è il tempo dell’unità sindacale però quello che succede oggi è l’attacco più formidabile che si possa mai avere all’istituto della contrattazione. Questo governo punta a distruggerlo e il Ministro Sacconi vuole, con la sua politica, indebolire i corpi sociali». Un attacco diretto all’operato dell’attuale governo che il Segretario Generale della Cgil Susanna Camusso non può non condividere: «C’è un grande sindacato, che ha sempre ragionato sull’idea che il lavoro è una parte fondamentale della cittadinanza. Sul lavoro non possono esserci condizioni diverse da quelle che si hanno nella società. Una volta il sindacato era il luogo dove, partendo dalle politiche del lavoro, si poteva creare una casa della sinistra ed è ancora a quella che oggi mi rivolgo». Il problema attuale, secondo la Camusso, è che «un eccesso legislativo straordinario è causa oggi di un momento di forte precarietà e di una diffusa incapacità di sviluppo». Il nodo del dibattito odierno è «quale sia la funzione del sindacato in un periodo di crisi» e soprattutto, quale autonomia può avere il sindacato se, prima di confrontarsi con gli industriali, deve guardarsi da un governo che «propende per una rottura dei sindacati, visto che un sindacato diviso è sicuramente preferibile per il Presidente Berlusconi».
La soluzione sembra quindi quella di invertire la tendenza, diminuendo l’eccessiva regolamentazione ed evitando che «l’attuale debolezza della contrattazione ne porti alla scomparsa, invece che al rafforzamento».
Una presa di posizione forte che la Camusso conclude con un appello: «Allargare il recinto, riconoscendo alla rappresentanza molti temi sui quali ha dimostrato di essere autosufficiente senza però invadere il campo degli altri,per stabilire il nuovo valore della contrattazione sindacale».
(Marco Maddaloni)