Un vortice di opere, artisti ed emozioni artistiche tutti raccolti nelle sei sale predisposte al Palazzo delle Esposizioni a Roma: dal 1 aprile scorso è aperta al pubblico l’esposizione di 100 opere provenienti dallo Städel Museum di Francoforte. La collezione privata di Friederich Städel (1728-1816), nata con l’intento di raccogliere le esperienze artistiche tedesche, si pone oggi come punto fondamentale per capire il transito dell’arte moderna mitteleuropea in relazione con il panorama artistico europeo, offre nella capitale la possibilità di attraversare la storia delle esperienze artistiche dall’Ottocento alla prima decade del Novecento.
Il percorso proposto pone inizialmente di fronte ai “Nazareni”, quei giovani pittori tedeschi che nel primo ‘800 mossero verso Roma alla ricerca di modelli dalla natura e dell’antichità, e che poi stabiliscono uno stile di vita di concentrazione spirituale. Dal romanticismo nordico, quale il Montagne nella nebbia di Friedrich, al meridionale esotico, per cui emblematica La fanteria araba di Delacroix, la sala sembra convogliare gli sguardi verso il Goethe nella campagna romana di Tischbein: l’intensità dello sguardo del soggetto è in primo piano, ma anche lo sfondo è portatore di significato, per la particolare accezione alla storia gloriosa cui appartiene. Con la Veduta di Francoforte con il vecchio ponte di Courbet si è introdotti al realismo, a una dimensione descrittiva e naturalistica più nitida, e anche laddove la ricerca di immersione nella realtà concreta è realizzata tramite “macchie” di colore, come l’enorme Frutteto di Daubigny, attraverso il confronto tra Monticelli, Uomo che dipinge il muro di casa e un giovanissimo Van Gogh, Casa di Nuenen, si intuisce che l’esito di questa tensione verso il concreto sarà sempre più legata all’immediatezza dell’impressione che l’artista ne trae.
“Il simbolismo è una paradossale rivoluzione” (Albert Aurier, 1892): partendo da questa definizione, e dal presupposto che in quel particolare momento storico che era la fine dell’800 “da ogni dove la gente nordica rivendicare il diritto a sognare”, l’ossessione per l’osservazione della realtà e l’analisi scientifica erano messe in discussione. L’uomo aveva bisogno di un punto di fuga, necessitava che la realtà avesse un significato reperibile altrove: è quello che chiedono di fare, al loro cospetto, la Pietà di Von Stuch, la “Frau Aventiure” di Slevogt e il Sansone e Dalila di Liebermann. E anche se la Veduta della valle dell’Ulten di Eysen sembra tranquillizzare perché sommersa dalla nebbia, la Fanciulla con maschere di Ensor terrorizza come l’ingresso nell’età adulta. Il termine è un Munch giovane, In osteria, dove ancora la pittura è ordinaria ma se ne intuisce l’esito, sia per la notorietà delle opere successive ma soprattutto perché è infraintendibile l’esito stesso della corrente che intitola la sala.
L’impressionismo catturato dalla collezione vuole porsi trasversalmente tra Germania ed Europa. L’ovattato e pacifico Dopo la colazione di Renoir infatti crea un gap rispetto alle opere precedenti dell’esposizione, quasi un richiamo a un sentimento originario del pittore di fronte a un soggetto “bello quotidiano”. La provocazione lanciata da ciascuno dei movimenti attraversati fino a ora si fa concreta solamente nella sesta sala con il movimento del Die Brücke: è il momento in cui l’arte diventa davvero provocatoria, sgraziata, anticlassica. Il colore è il protagonista, poiché è l’espressione la cosa più importante, e dal colore si è di fatti stroncati di fronte alla Devozione alle stelle di Shmidt o ai Fiori e ceramica di Matisse.
Il percorso finora fatto approda come termine della mostra e della collezione con l’esperienza dell’astrazione moderna, l’esito della tensione cresciuta nelle sale nello spettatore, ma che è molto più tensione provata dall’uomo nella storia dell’arte di un secolo. Quello che in Francia è cubismo, in Germania si traduce nelle visioni trascendentali dei Der blaue Vier (Kandinskij, Feininger, Klee e Jawlesky), e se l’arte è tale per scoprire il mistero dei simboli, è anche vero che essa è tramite per lo spirituale, che emerge in tutta la sua prepotenza nella Sinfonia in rosa di Jawlesky e nell’Agnello di Klee.
(Caterina Gatti)