«Credo moltissimo nell’occupazione e nella imprenditoria sociale e credo che sia la via maestra per un’Italia che non può basare tutta la sua attività imprenditoriale sull’industria pesante ma deve avere la capacità di fornire servizi ai soggetti cosiddetti fragili e dare una mano dove il pubblico non riesce a arrivare». Pierfrancesco Dauri , direttore dell’ UOC di anestesia e rianimazione all’ospedale C.T.O. di Roma, racconta a IlSussidiario.net il suo progetto:« Stiamo costruendo un consorzio di società che gestiranno tutte quelle situazioni in cui soggetti fragili si trovano in difficoltà. Provengo da una famiglia che ha cominciato ad operare nel settore della sanità ben quarant’anni fa. Conosciamo molto bene sia l’ambiente che le problematiche».
In cosa consiste il suo lavoro?
« Forniamo risorse umane anestesiologiche alle strutture private quindi gestiamo tutta l’assistenza anestesiologica e rianimatoria per interventi chirurgici. Abbiamo un gruppo di anestesisti che formiamo e strutturiamo secondo quelle che sono le nostre linee guida che sono sempre confrontate a livello internazionale. In pratica offriamo anestesia per varie strutture private».
Che tipo di problemi ci sono?
«Gestisco sistemi sanitari che si occupano di anestesiologia e rianimazione quindi dobbiamo ovviamente avere rapporti con dei colleghi per ottenere il lavoro e con le strutture sanitarie private, a cui ci rivolgiamo. Queste cliniche sono gestite da imprenditori che troppo spesso hanno un occhio rivolto al guadagno. La mia non è mai un’imprenditoria finalizzata solo al denaro, ma cerco anche, quando possibile, di creare benessere».
In che modo?
«Facciamo anestesiologia per diversi tipi di chirurgia: dalla neurochirurgia alla chirurgia ortopedica, fino alla chirurgia estetica. In questi casi la qualità deve essere assolutamente la prima cosa da ricercare, perché quando si tratta della salute di una persona bisogna prima di tutto guardare alla qualità e poi al guadagno. L’importante è non ingannare mai le persone, mai i colleghi, le strutture, i pazienti ma essere sempre rispettosi e se necessario rinunciare anche a un guadagno facile se questo può voler dire il malessere del paziente».
Da dove nasce l’idea del consorzio?
«Nasce dal fatto che purtroppo mia madre è venuta a mancare due anni fa a causa di una grave malattia ed è stata assistita dentro casa, che noi abbiamo trasformato in una specie di sala di rianimazione: mia madre venne tracheostomizzata e ventilata meccanicamente per due lunghi anni e assistita a domicilio. In quel momento mi sono reso conto di quanto sia difficile oggi assistere in casa una persona e accogliere nel modo appropriato questo tipo di pazienti e di problemi».
Che tipo di servizi offrirete?
«Da mercoledì nascerà questa nuova iniziativa, cioè un consorzio di cui io sono presidente che ha partnership con importanti strutture imprenditoriali che operano nel settore socio-sanitario e che appunto si occuperanno non solo del ricovero ma che andranno a gestire i soggetti fragili anche a domicilio. Forniremo servizi infermieristici, medici, forniremo badanti e i farmaci sempre a domicilio. Vogliamo offrire un servizio a 360° per i tutti i soggetti che ne hanno bisogno. Ormai molto spesso le famiglie che hanno al loro interno un soggetto fragile, un anziano, un handicappato o una persona con un’infermità di qualunque tipo, si trovano di fronte a una montagna di difficoltà da dover affrontare. Mi piacerebbe sfruttare questa nuova idea imprenditoriale di servizi per risolvere i problemi di queste famiglie e far sì che il soggetto fragile non viva un isolamento e una alienazione dall’ambiente che lo circonda ma che lo faciliti nel portare avanti una vita, anche delle famiglie che lo assistono».
In che modo aiutate il paziente e le famiglie?
«L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che in Italia si vive più a lungo. Abbiamo un sistema sanitario che offre risposte positive, salva molte vite e inoltre le prolunga. Il problema che ci siamo dimenticati di verificare è se queste vite così lunghe siano anche qualitativamente accettabili. Faccio un esempio: il soggetto che dopo un intervento chirurgico per un trauma cranico esce dall’ospedale, dove può andare? Se in riabilitazione non c’è posto iniziano già i primi problemi».
E nel caso in cui venisse accettato?
«Viene riabilitato e torna a casa, dove potrebbe non essere autosufficiente. Dovrebbe allora gestirlo la Asl, cioè la sfera pubblica, che però non lo gestisce a dovere. Si ricorre obbligatoriamente al privato e le famiglie sono costrette a spendere molti soldi per affrontare la situazione. Questo ha un costo enorme sia in termini economici che di tempo, per cui molte famiglie sono davvero in grandissima difficoltà. Purtroppo la sfera pubblica non arriva a gestire tutto questo e non ci sono le possibilità di garantire la adeguata assistenza dei soggetti che hanno un diverso grado di abilità».
Anche voi però fate parte del privato. Quanto farete spendere ai pazienti?
«Purtroppo la nostra iniziativa parte dal mondo privato però, accanto alla società profit, ne metteremo una no profit su cui faremo convergere dei fondi per assistere coloro che non se lo possono permettere. Già ora, comunque, la gente paga i servizi che noi offriamo molto meno di quanto pagherebbe in altre strutture. Inoltre noi offriamo badanti che possono attuare anche manovre di tipo medico-sanitario. E la diversificazione dell’offerta porta a far risparmiare le famiglie».
Quanto è difficile fare impresa a Roma?
«È difficilissimo. Innanzitutto c’è un fattore morale: Roma è una città di grandi gelosie e di grandi invidie. Qui l’imprenditoria non è vista come una risorsa e il successo spesso non è ben visto. L’altro elemento è la burocrazia: Roma è la città della burocrazia, quindi purtroppo tutto ciò che viene fatto dal punto di vista imprenditoriale si trova davanti a mille ostacoli, a volte insormontabili. Quindi a volte fare impresa a Roma è molto difficile anche per gli spazi ristretti offerti dalla città, che portano a una concorrenza spietata. Non c’è stata in questi anni, né dalle amministrazioni locali né da quelle nazionali, una sola facilitazione per chi fa effettivamente impresa».
Ha qualche modello europeo da consigliare?
«Io faccio sempre riferimento al modello inglese che ha fatto dei grandissimi passi avanti. David Cameron si è inventato la “Big Society” che consiste nell’affidamento di molti servizi pubblici ai cittadini privati. Trovo che questa sia una linea che andrebbe perseguita anche in Italia: togliere al pubblico e dare a consorzi di cittadini privati».
Cosa pensa della giornata del matching organizzata dalla Compagnie Delle Opere del 7 luglio?
«La Compagnia Delle Opere è il gruppo che ha interpretato al meglio il concetto di “Big Society”, cioè occupare anche spazi pubblici attraverso la cooperazione tra diversi settori, quindi credo che l’iniziativa sia assolutamente valida. L’incontro mette in rete le cooperative e ovviamente saremo presenti anche noi come consorzio. Sono sicuro che sarà un ottimo punto di partenza per poter svolgere al meglio la nostra attività».
(Claudio Perlini)