Caro direttore,
sono un medico ospedaliero di mezza età, ho letto con interesse l’articolo di Alessandra Servidori. Esso descrive molto bene il Pnrr e così anche la drammatica carenza di professionisti medici e infermieri che potrebbe determinare il fallimento del programma.

Quello su cui dissento è che la soluzione sia la stabilizzazione del precariato. Escluse particolari realtà regionali del Sud estremamente complesse, mi sembra che il problema a livello nazionale sia prevalentemente una carenza di medici sia specialisti che di medicina generale e il tentativo di assumere nuovi medici, tramite concorsi, fallisce per l’assenza di candidati. Già nel 2014 uno studio Anaao aveva ampiamente previsto il drastico effetto del pensionamento di circa il 45% dei medici nel decennio 2014-2023.



Di questo vediamo ora le conseguenze ogni giorno: i reparti di piccoli ospedali e ospedali periferici chiudono; i pronto soccorsi sono appaltati a cooperative che reclutano medici extra-Ue con gravi difficoltà linguistiche e spesso poco adeguati al compito; nel biennio 2022-2023 è previsto il pensionamento del 40% dei medici di medicina generale lasciando scoperti quindi altrettanti cittadini. A questi numeri bisogna aggiungere l’emigrazione all’estero dei giovani medici, sempre in crescita, dove l’offerta lavorativa è più competitiva sia dal punto di vista professionale che economico. In ambito infermieristico esiste ancora qualche sacca di precariato assolutamente non sufficiente a coprire il bisogno di cura che emergerà prepotentemente nei prossimi mesi. Inoltre, tra il personale infermieristico, si registra un elevato turnover spesso legato ad un alto tasso di burnout.



In questo quadro, francamente preoccupante, la buona notizia ci arriva ogni anno in questo periodo: al concorso di infermieristica e di medicina si iscrivono, tutti gli anni, tantissimi maturati. Impossibile non chiedersi che motivazioni hanno, cosa c’è sotto queste aspirazioni, perché cercano di entrare in un ambito lavorativo descritto come usurante, poco retribuito, con scarse prospettive di carriera.

È nostra responsabilità chiederci cosa facciamo di questa immensa risorsa, soprattutto in un momento in cui il Sistema sanitario nazionale si avvicina ad un crac senza precedenti. Ed è sconsolante vedere che, anche quest’anno, il numero chiuso per accedere ai corsi di laurea in infermieristica e medicina è spaventosamente inadeguato.



Condivido ora alcune domande e le mie considerazioni.

Che ruolo ha e vuole avere l’università in questo, che rapporto ha con la realtà lavorativa e come esercita l’immensa responsabilità di essere la fucina del nostro futuro?

Sul piano politico manca la consapevolezza della gravità della situazione, oppure non è un argomento che può entrare nell’agone politico perché richiederebbe la responsabilità di un netto cambio di rotta?

Il Ssn è stato impostato negli anni 80, in seguito all’accesso libero alla facoltà di medicina, in modo “medico-centrico” in un’epoca che era caratterizzata da un esubero di medici (che ora va a finire) e dalla ridotta richiesta sanitaria di una popolazione giovane. Questo ha comportato che gran parte dell’attività lavorativa del medico, mediamente in esubero, sia stata impiegata per svolgere attività amministrativa, in continuo aumento, senza preoccuparsi di investire su figure amministrative oppure per supplire alla carenza cronica di assunzioni infermieristiche, riducendo drasticamente il tempo dedicato all’attività prettamente medica.

In questo modo in Italia non si è solo squalificata la professionalità medica ma anche quella infermieristica e delle altre figure sanitarie: inevitabilmente si è tutto appiattito. L’organigramma a piramide che dovrebbe essere la forma che permette il buon funzionamento di un reparto (realtà che ho vissuto in Francia: un capo con pochi medici senior, più medici junior e, a seguire, tanti infermieri e tantissimi Oss e amministrativi), mentre in Italia nel tempo la piramide è stata ribaltata: gli amministrativi di reparto non esistono, gli Oss sono pochi e poco formati, gli infermieri pochi e demotivati, i medici tanti e demoralizzati.

Ora viene a mancare la base della piramide ribaltata all’italiana: i medici impiegati un po’ per tutto non ci sono più e non avremo costruito figure professionali sanitarie e para-sanitarie intermedie.

Se anche ci svegliassimo adesso, facendo una programmazione adeguata del fabbisogno di medici e ampliando il numero chiuso mantenendo questo modello medico-centrico, potremo ristabilire un equilibrio nel 2032 mentre la popolazione continua ad invecchiare aumentando la domanda di cura.

Io credo che per rispondere a questa sfida, i cui confini non ci sono ancora chiari, bisogna avere il coraggio di iniziare, tempestivamente, un nuovo corso, dandosi obiettivi realistici a breve termine e creando le fondamenta per una nuova sanità a lungo termine. Il Ssn italiano non è ovviamente attraente per professionisti dell’area Ue. Quindi abbiamo una sola risorsa a breve termine per evitare il collasso della sanità e l’invasione sregolata, tramite scorciatoie, di medici extra-Ue non adeguati: il coraggio di una programmazione del fabbisogno per i prossimi 5-10 anni e quindi il reclutamento dei medici e degli infermieri necessari dai Paesi extra-Ue che abbiano un livello di formazione in linea con il livello europeo. Il reclutamento richiederà, ovviamente, una valutazione della professionalità e delle competenze linguistiche.

A medio-lungo termine un altro bacino di risorsa fruibile è la creazione di figure professionali intermedie sul modello sanitario di tanti paesi dell’Europa occidentale. In primis l’infermiere deve fare un salto di professionalità attraverso percorsi specialistici clinici. Come nel resto d’Europa, dovremmo istituire dei corsi di magistrale specialistica (4°-5° anno del corso di laurea) in ambito clinico (infermiere di oncologia, di pediatria, di neonatologia, di anestesista, di chirurgia, di famiglie ecc.). A questa laurea deve necessariamente corrispondere un nuovo ruolo, nuove responsabilità, nuovo contratto e quindi un riconoscimento economico.

Questo è un salto soprattutto culturale e politico in un sistema super sindacalizzato e appiattito. Ma darebbe molti vantaggi: il percorso infermieristico così descritto è di 5 anni contro i 10 dei medici. Inoltre, infermieri già nel mondo del lavoro, partecipando alla magistrale, in due anni potrebbero esercitare la loro nuova professionalità ed essere una grandissima risorsa; finalmente la professione infermieristica potrebbe tornare ad essere attrattiva avendo prospettive professionali ed economiche. Credo anche che economicamente sia più sostenibile che tornare al numero di medici per abitante degli anni passati. Abbiamo già esempi di figure paramediche assolutamente competenti che lavorano in sinergia con i medici (es: sonographer-cardiologo, ostetrica-ginecologo) oltre al modello francese, tedesco, spagnolo, inglese a cui ispirarsi.

A queste figure infermieristiche specialistiche o tecniche dovremmo aggiungere amministrativi sanitari che lavorino dentro i reparti svolgendo tutta l’attività amministrativa e non barricati in uffici distanti dai sanitari e dagli ammalati. In questo sistema al medico sarà chiesto di fare “solo” il medico, cioè: visitare il paziente, impostare un percorso diagnostico, decidere un trattamento, verificarlo e coordinare tutta l’équipe (infermieri, tecnici, amministrativi) in questo percorso di cura.

In uno scenario assolutamente nuovo e drammatico, non dobbiamo fossilizzarci su vecchie soluzioni, ma avere il coraggio di guardare con lucidità al nostro futuro e lasciarci ispirare da modelli sanitari simili al nostro, penso alla Francia, alla Spagna, alla Germania, che nei decenni passati hanno affrontato l’aumento della richiesta sanitaria e la carenza medica attuando percorsi professionalizzanti per tutte le categorie coinvolte nel percorso di cura del paziente.

Credo quindi che il primo passo da fare sarebbe realizzare una seria programmazione del fabbisogno di personale medico e infermieristico ed in base a questo, in collaborazione con l’università, programmare il numero chiuso per i prossimi 10 anni; contemporaneamente creare flussi regolamentati di medici specialisti stranieri interessati a migrare in Italia; ampliare da subito il numero chiuso degli infermieri, istituire la magistrale clinica, modulare il contratto in termini di responsabilità e di riconoscimento economico per queste nuove figure professionali e, infine, formare e assumere personale amministrativo a supporto dei sanitari nei reparti in modo che il medico e l’infermiere possano tornare a tempo pieno al letto del malato.

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