L’inflazione è in calo (però prevalentemente nella sua frazione core), ma perdura il credit crunch, visti i tassi ancora alti, tanto da creare per l’economia una sorta di stallo, tra servizi in flessione, industria debole, scarsi investimenti, consumi fermi. Spiace sempre dover ricordare il “te l’avevo detto”, ma sconcerta verificare oggi le pessime conseguenze dell’ostinazione del ripetuti rialzi dei tassi decisi dalla Bce che da più parti (anche da queste pagine) erano state pronosticate fin dall’inizio delle strette antinflattive di Francoforte.
Questo è il quadro che emerge dal report di novembre del Centro studi di Confindustria. Cominciamo dai servizi, e dal turismo, segmento che in agosto ha visto attenuate le sue ottime performances: +9,5% sul 2022 la spesa degli stranieri in Italia, ma -1,7% dal picco di luglio. A settembre il nuovo RTT index (Real Time Turnover Index, CSC-TeamSystem) segnala una flessione moderata dei servizi per il terzo mese di seguito, e in ottobre il PMI (purchasing managers index, l’Indice composito degli acquisti) è caduto in misura marcata (47,7, da 49,9) indicando una contrazione. Nel terzo trimestre il Pil è rimasto fermo, all’inizio del quarto l’attività nei servizi è in lieve calo, come nell’industria, che resta debole: a settembre la produzione era ferma. Il terzo trimestre ha registrato appena un +0,2%, ma dopo quattro trimestri negativi: da inizio anno è scesa di -1,8%. Nell’ultimo mese, in flessione i beni di consumo (-2,2%), mentre cresce la produzione di beni strumentali (+1,5%) e intermedi (+0,8%). RTT misura un fatturato in flessione e in ottobre il PMI si è ulteriormente ridotto (44,9 da 46,8), mentre la fiducia delle imprese ha proseguito la caduta (96 da 96,4).
Anche se l’inflazione in Italia è finalmente tornata sotto il 2%, i tassi sono ai massimi e bloccano il credito, frenando consumi e investimenti, mentre l’export aiuta poco. Sale l’incertezza, mentre il costo dell’energia resta più alto del pre-crisi energetica: a novembre, gas e petrolio a 41€/mwh e 85 $/barile. L’inflazione italiana si è comunque ridotta bruscamente in ottobre a +1,7% annuo (da +5,3% a settembre), grazie a un effetto base molto favorevole sui prezzi energetici. I prezzi core di beni e servizi continuano a frenare ma solo lentamente (+3,7%), come quelli alimentari (+6,3%), grazie alla parziale moderazione delle commodity. Sono valori non ancora pienamente in linea con la soglia inflattiva.
Capitolo tassi. A inizio novembre la Fed ha tenuto, per la seconda volta, fermo il tasso Usa (a 5,50%), come pure la Bce a fine ottobre (4,50%). Lo scenario base è che i tassi sono giunti ai massimi, ma perdura il rischio di nuovi rialzi: Lagarde ha ribadito che altri rialzi potrebbero esserci anche nell’Eurozona, in caso di nuovi shock che modifichino lo scenario. In tutto ciò, peggiora la situazione del credito per le imprese italiane: il costo è salito al 5,35% a settembre, la caduta dei prestiti è arrivata al -6,7% annuo. Nel terzo trimestre la domanda ha continuato a ridursi per i tassi troppo alti e i criteri di offerta sono divenuti più rigidi: sempre più imprese restano senza credito. Ne scaturisce una dinamica degli investimenti in peggioramento, dopo il calo nel secondo trimestre: l’indagine Banca d’Italia nel terzo suggerisce una significativa frenata della spesa in beni di capitale (saldo a 11,6, da 20,4 nel secondo); tra i fattori di ostacolo più sentiti dalle imprese rimane la domanda debole; e in ottobre si registra un nuovo calo della fiducia delle imprese di beni strumentali.
La fiducia delle famiglie in ottobre ha registrato un calo marcato (101,6 da 104,5) e i consumi già deboli nel secondo trimestre, specie quelli di beni, sembrano aver frenato ulteriormente: le vendite al dettaglio sono scese nel terzo (-1,3% in volume). L’occupazione però è cresciuta anche a settembre (+42mila unità, interamente a tempo indeterminato), dopo agosto (+0,4% nel terzo trimestre). Bene l’export: nel terzo trimestre è tornata positiva la dinamica di beni (+0,8% a prezzi costanti). Ma le prospettive per il quarto trimestre sono negative, secondo gli ordini manifatturieri esteri in ottobre, a causa di accresciute tensioni geopolitiche e debole domanda estera.
In un quadro sostanzialmente così incerto, secondo il Fondo monetario internazionale, il turismo si conferma motore chiave della ripresa economica e della crescita a livello globale, con un recupero al 95% del numero di turisti entro la fine dell’anno rispetto al pre-pandemia. Il turismo internazionale – secondo il Fmi – è sulla buona strada per raggiungere nel 2023 dall’80% al 95% dei livelli pre-pandemici. Le prospettive per settembre-dicembre 2023 indicano una ripresa costante, trainata dalla domanda ancora repressa e da una maggiore connettività aerea. Il World Economic Outlook di Fmi rivela che le economie dei Paesi in cui il turismo rappresenta un’elevata percentuale del Pil hanno registrato una ripresa più rapida nel post-pandemia rispetto alle economie in cui il turismo non è settore significativo.
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