La chiamano “mancata potenza eolica” e indica la situazione che si crea quando, in una zona particolarmente ventosa, la potenza dei generatori eolici potrebbe aumentare, ma trova l’ostacolo di una capacità di trasporto elettrico insufficiente e quindi non tutto il vento disponibile viene utilizzato.
Non è un caso teorico. Si è verificato in Italia nell’area dell’Appennino meridionale, la più fornita di impianti di questo tipo, già nel 2008 e nel 2009 ha avuto un picco che ha causato una mancata produzione eolica di circa 700 GWh – quasi un quarto dell’energia effettivamente producibile – per costi pari a 144 milioni di euro.
Sono questi alcuni dati contenuti nello studio “Rete e vento – Lo sviluppo della rete elettrica italiana per la connessione e l’integrazione della fonte eolica”, realizzato dal Centro Studi di Aper e presentato nei giorni scorsi durante il seminario organizzato dalla Fondazione EnergyLab, all’interno delle iniziative del Laboratorio Energie Rinnovabili.
Un quadro scoraggiante quello che emerge analizzando i dati degli ultimi anni: nelle principali aree di produzione di energia da fonte eolica si verifica difatti la perdita di quantità significative di energia per la scarsa capacità di trasporto delle linee di alta tensione e scarso carico elettrico. E la situazione sembra destinata a rimanere critica anche nei prossimi anni, in base alle previsioni di sviluppo dei parchi eolici suggerite dal gestore della rete.
Per risalire alle cause di tale situazione, lo studio di Aper svolge una puntuale analisi annuale della programmazione dello sviluppo della rete di trasmissione nazionale e della sua effettiva realizzazione, con particolare riferimento alle opere asservite all’eolico. Il rapporto presenta i dati relativi alla connessione degli impianti eolici alla rete elettrica nazionale e al potenziamento della medesima finalizzato all’integrazione dell’energia eolica nel decennio dal 2000 al 2009, con l’obiettivo di ricostruire un quadro il più oggettivo possibile di una situazione in cui in molte aree la rete elettrica si dimostra inadeguata a raccogliere e trasmettere la sempre maggiore energia proveniente dalle cosiddette wind farm.
L’analisi fotografa un decennio in cui il sistema elettrico italiano ha conosciuto profonde modifiche strutturali che hanno riguardato tutte le componenti della filiera elettrica, dalla produzione alla trasmissione fino alla distribuzione e all’utilizzazione, nonché notevoli interventi sui diversi fronti legislativo, normativo e regolatorio.
Uno dei cambiamenti principali ha riguardato la connessione alla rete di un consistente parco di generazione a ciclo combinato, composto sia da nuovi impianti che da impianti esistenti convertiti, creando indubbiamente un impatto fondamentale sullo sviluppo del sistema elettrico di trasmissione. Parallelamente, anche se con dimensioni non paragonabili, si è assistito a un notevole incremento della potenza installata da fonte rinnovabile, in particolare eolica, afferente nella quasi totalità dei casi alla rete di trasmissione di zone già caratterizzate da alcune carenze infrastrutturali.
La risposta del gestore di rete alla crescente esigenza di connessione e integrazione della fonte eolica si è inizialmente concentrata sulla rete di sub-trasmissione per poi gradualmente prevedere interventi dedicati anche sul sistema primario, sia estendendo alla fonte eolica i benefici di opere già pianificate che prevedendo nuovi interventi unicamente asserviti a tale fonte di produzione. Ciononostante, il ritmo di crescita della potenza eolica e lo sviluppo effettivo della rete nel decennio in esame hanno portato a situazioni prima definite dallo stesso gestore potenzialmente critiche, con riferimento alla possibilità di limitazioni della produzione eolica per vincoli di rete, e poi effettivamente resesi tali negli ultimi tre anni.
Va detto che l’integrazione dell’eolico nel sistema elettrico è effettivamente una sfida impegnativa. Che però altri Paesi hanno vinto. C’è evidentemente un problema di bilanciamento e di adeguata integrazione dei nuovi impianti nella rete e c’è la necessità di una rete più stabile perché l’eolico in Italia possa svilupparsi, almeno nelle zone dove le condizioni geofisiche lo consentono.
C’è chi spera nelle smart grid, che consentirebbero una migliore integrazione delle risorse distribuite e una riduzione delle perdite di rete, oltre a una riduzione delle emissioni. C’è anche chi suggerisce una possibile integrazione tra eolico e idroelettrico: quest’ultimo è più flessibile e potrebbe compensare i problemi di stabilità dell’eolico, che a sua volta potrebbe favorire alcune funzionalità dei sistemi idroelettrici, come i sistemi di pompaggio e il recupero di acque per altri utilizzi.
Gli esempi da imitare sono, ovviamente, quelli dei Paesi nordici, Danimarca e Germania in testa. Qui riescono a sfruttare molto anche l’eolico offshore, contribuendo a un mini primato dell’Europa che vanta una potenza installata di quasi 3 GW con questa modalità. I vantaggi dell’offshore sono notevoli: vento più regolare, con meno turbolenze; meno impatto visivo e acustico; maggior produzione (che compensa i costi di impianto più elevati).
Le installazioni attualmente in funzione a cura di Regno Unito, Danimarca, Olanda, Germania, Svezia, Belgio utilizzano fondazioni fisse sul fondo marino in fondali relativamente bassi a profondità di 10-40 metri e a distanza fino a 40 km (ma in Germania c’è ne è anche uno a 100 km). Qualcuno ipotizza per il futuro anche delle unità galleggianti per acque profonde oltre 50 metri a breve distanza dalla costa e con condizioni di vento favorevoli. In Italia non mancano situazioni simili.
(Michele Orioli)