Caro direttore,
nei social ultimamente ho avuto modo di leggere numerosi post che denunciano la fragilità dei nostri alunni. In alcuni si parla di vero e proprio malessere, a volte grave. Gli strumenti a nostra disposizione sono l’empatia, la comprensione, il dialogo, ma spesso troviamo resistenza quando non opposizione o addirittura indifferenza, dal momento che non essendo argomenti scolastici non dovremmo neanche occuparcene.
Si invoca la presenza dello specialista nelle scuole (in quella in cui insegno, è operativo) come soluzione possibile, si chiedono investimenti in questo senso dato il reale bisogno. La mia considerazione è che non basta avere uno psicologo a disposizione, peraltro sono (nel caso specifico della scuola in cui opero) pochissimi a farvi ricorso e sporadicamente.
Il malessere è tipicamente adolescenziale ma ora ha connotati più gravi, alcuni diventano apatici e si chiudono in un mutismo insuperabile. Sicuramente l’utilizzo massiccio dei social e degli strumenti informatici ha allontanato le persone fisicamente e reso i ragazzi molto impacciati e insicuri nelle relazioni tra pari, aumentando gli effetti negativi e le ribellioni che l’adolescenza comporta di per sé.
Non solo: io vedo la totale incapacità di chiedere aiuto. Siamo cresciuti in ambienti in cui la performance è importante, l’aspetto fisico è fondamentale e qualsiasi debolezza o fragilità deve essere nascosta con cura, onde evitare discriminazioni o essere oggetto di scherno. Non basta imparare ad accettarsi per quel che si è, cercare di valorizzare i propri pregi; si tratta di chiedere aiuto quando ci si trova in difficoltà o in momenti in cui da soli si rischia di soccombere.
Una mia alunna in un tema ha lamentato la sua solitudine, in quanto i genitori non sono le persone più indicate con le quali confrontarsi: non sono ritenuti in grado di comprendere quello che i ragazzi provano. Ma neppure gli amici lo sono, in quanto non abbastanza fidati. Il risultato è che non si reputa nessuno all’altezza della situazione. Gli adulti, genitori ed educatori tendono purtroppo a dare immagini di sé sicure, vincenti e granitiche, non mostrano debolezze né tanto meno hanno dei riferimenti con cui confrontarsi in caso di necessità. Ci troviamo a essere autoreferenziali e questo non aiuta i ragazzi ad avere un atteggiamento di richiesta d’aiuto.
Lo psicologo c’è, ma non vi si ricorre per non mostrare debolezze, perché ammettendole si rischia di essere considerati dei perdenti, degli “sfigati”, e questo non è ammissibile. Occorre onestà di fronte ai ragazzi e di fronte alle loro richieste, osservarli e ascoltarli non è abbastanza; per essere un riferimento leale è opportuno mostrare che anche noi nei momenti di difficoltà ci facciamo aiutare e non sempre possiamo cavarcela da soli.
Stando alla mia esperienza è capitato spesso di ricevere confidenze personali da parte degli alunni, in varie forme: attraverso i temi, nelle discussioni, commentando i brani dell’antologia e nell’affronto di problematiche relazionali avvenute in ambito scolastico. Mi è stato chiesto da parte di un’alunna di convincere i genitori a darle il permesso per accedere allo sportello d’ascolto, organizzando io gli appuntamenti con la psicologa. Sono momenti in cui ti accorgi che hanno abbassato il muro della diffidenza e ti stanno regalando qualcosa di sé che non hanno riservato a nessun altro, e tu puoi semplicemente esserci e accogliere questo dono, a volte difficile da gestire, ma non sei necessariamente chiamato ad intervenire, a dare indicazioni. Puoi invece renderti disponibile a ulteriori approfondimenti personali, come è capitato con l’alunna di cui ho accennato.
Altre volte non è possibile intervenire, sia perché non si hanno gli strumenti, sia perché gli alunni non vedono le ragioni di quello che proponiamo loro e non sono pronti a un cambiamento di sé, delle proprie abitudini o delle proprie idee. È capitato che nel fare il punto della situazione in classe su ciò che andava bene e ciò che era da migliorare in termini di relazioni e atteggiamenti, alcuni si siano ancor più irrigiditi nelle proprie posizioni, anche se sbagliate e controproducenti.
Il nostro compito è davvero essere leali ed esprimere cautamente le nostre opinioni, sempre motivandole opportunamente, e sperare che ciascuno impari a vedere anche il rovescio della medaglia, provando ad essere empatico per comprendere il punto di vista altrui anche se non concorda con esso.
Il team insegnanti elabora una programmazione educativa trasversale per ogni classe con obiettivi di socializzazione, autonomia, espressione delle proprie idee, rispetto reciproco; sempre più spesso vediamo che alcuni faticano sia nel lavorare insieme (a coppie o in piccolo gruppo) e altri non riescono a confrontarsi perché non accettano alcun tipo di giudizio e si dimostrano permalosi.
Ci preoccupiamo per il futuro dei nostri ragazzi soprattutto in terza, quando percepiamo che non sono pronti per quel che li aspetta alle superiori, ma non è giusto essere iperprotettivi; è importante accompagnarli e sostenerli esprimendo serenamente le nostre opinioni sia sul loro percorso scolastico sia sugli aspetti della personalità. È anche necessario lasciare lo spazio per la loro maturazione personale ed abbandonare le nostre supposizioni negative, in quanto non possiamo prevedere realmente come reagiranno e quali risorse possono avere al di là di quelle che hanno mostrato fino ad ora.
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